Insegnanti e ragazzi, pigiati nel quotidiano girone dantesco dei pendolari tra Alba e Asti

Insegnanti e ragazzi, pigiati nel quotidiano girone dantesco dei pendolari tra Alba e Asti

LETTERA AL GIORNALE Quasi nulla mi accomuna a questi ragazzi sul treno. Li vedo seduti, in piedi, appoggiati in equilibrio precario a qualcosa o qualcuno, accovacciati sui gradini, sul pavimento, uno in braccio all’altro. I pollici si muovono frenetici sul display del cellulare e le cuffie sono piantate nelle orecchie. Io leggo, guardo fuori dal finestrino un paesaggio stranamente sconosciuto. Lascio dietro di me case, macchine e pullman in coda, poi finalmente lo skyline delle colline di Neive ancora scure, avvolte nella penombra di un’alba che fatica, come noi, a svegliarsi. lo sono una “boomer” e faccio l’insegnante da trent’anni, loro, “generazione Z”, fanno gli studenti da molto meno tempo. Siamo proprio agli antipodi, come su quelle altalene basculanti, dove uno non può “ciondolare” se non grazie al peso dell’altro. Eppure come in un girone dantesco, siamo tutti insieme pendolari, sulla nuova linea Asti-Alba e viceversa.

Nelle prime settimane, due erano le costanti: tre carrozze quando ne servivano almeno il doppio e il costante ritardo di 10-15 minuti all’arrivo ad Alba. Da qualche settimana il ritardo è stato sanato, il treno parte dieci minuti prima e “digerisce” così il ritardo. Sul numero di carrozze necessarie per far sedere tutti, invece, non ci siamo: più della metà dei ragazzi è in piedi. Per chi sale a Castagnole o Neive vale l’endecasillabo dantesco: «Lasciate ogni speranza voi ch’entrate».

In questa fatica quotidiana, i ferrovieri provano a percorrere i corridoi del treno abbozzando frasi del tipo: «Ragazzi potete spostarvi che devo passare? – Ma dove mi sposto?». Oppure: «Ragazzi potete andare avanti? Altrimenti gli altri non riescono a salire! – Avanti dove? È tutto pieno!». La più bella di tutte rimane: «Ragazzi venite avanti a occupare i posti in piedi! – In mezzo al corridoio?». Arrivati ad Alba il treno si ferma e noi “dannati” affrontiamo l’uscita dalla stazione salendo le scale strette e tortuose del sovrappasso. Dopo rampe in salita, poi in discesa, usciamo finalmente “a riveder” l’aurora. A volte la luce del sovrappasso non funziona, allora si accendono tutte le torce dei cellulari e noi come, «di tante fiamme tutta» facciamo risplendere la nostra “bolgia”. Gli irriducibili rinunciano alle scale e attraversano i binari, scavalcando le transenne messe apposta per impedirlo.

In una mattinata di fine settembre siamo scesi in un altro girone. La “littorina”, come la chiamava mia nonna, è arrivata fino alle porte di Alba abbastanza in orario, o meglio accumulando il solito ritardo di una decina di minuti, poi si è fermata. I minuti sono diventati tanti, 15-30-40… Qual era il problema? Le sbarre! Il sistema di chiusura non ha funzionato, le sbarre non si sono abbassate all’arrivo del treno e il macchinista ha fermato il convoglio, in preda al panico. Sono stati chiamati i Carabinieri a presidiare il passaggio a livello. Siamo arrivati in classe tutti verso le nove: prima ora persa, verifica saltata o in ritardo. Il prof deve compilare la voce “ingresso in ritardo” sul registro elettronico e la famiglia giustifica un disservizio di cui non è responsabile, anzi ha pagato regolare abbonamento per avere un… servizio!

Ma proviamo a parlare di un viaggio di ritorno verso Asti. Treno delle quattordici e dieci, in orario e va bene, stracolmo, come al solito, ma: «C’e qualcosa che perde», dice il ferroviere, quindi la carrozza è investita da un fischio assordante che ci tiene compagnia per tutto il viaggio. Isola d’Asti, devo scendere! Il treno fischia, poi riparte e il frastuono della locomotiva a gasolio si allontana da me. Finalmente un po’ di silenzio: respira, sei in Italia!

Antonella Lea Bertolino

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