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Parola al maresciallo Claudio Grosso, che ha salvato 142 donne nell’Albese

Parola al maresciallo Claudio Grosso, che ha salvato 142 donne nell’Albese
Carlo Grosso © Marcato

VIOLENZA DI GENERE 142: è un numero che significa molto per il maresciallo Claudio Grosso, della Compagnia dei Carabinieri di Alba. Sono le donne vittime di violenza che ha seguito dall’aprile del 2017. Provengono dall’Albese, ma anche da alcune zone vicine.

Le ricorda tutte, una a una, perché per lui sono molto di più di nomi su un fascicolo. Le ha accolte nel suo ufficio, nella caserma albese di via Generale Dalla Chiesa, le ha ascoltate e ha cercato di capire come aiutarle. Salvarle, forse, è la parola più giusta. Gazzetta d’Alba lo ha intervistato.

Maresciallo Claudio Grosso, si è fatto un’idea sulle dinamiche della violenza di genere?

«Quando ci penso, mi si palesa un’immagine: una donna seduta su una panchina che guarda un lago, in una giornata di nebbia. In quel momento, arriva l’uomo. Ho seguito donne giovani, adulte e anziane, italiane e straniere, appartenenti a tutti i contesti sociali. Di solito sono state colpite in un momento di debolezza, dovuto a qualsiasi problema. L’autore della violenza approfitta di questo frangente: appare come una sorta di faro. Nel frattempo, inizia a piccoli passi a tessere la sua tela, fatta di possesso, controllo e allontanamento da amici, colleghi, conoscenti, per arrivare alla famiglia. Fa credere che, alla base del suo comportamento, ci sia l’amore. Quando si arriva alla violenza vera e propria è già tardi, perché la donna è isolata. Lei stessa si sente, paradossalmente, colpevole. Ricordo una vittima di violenza fisica per mano del marito, che mi raccontò come lui la picchiasse per i motivi più futili, per esempio una forchetta posizionata sul tavolo al posto del coltello: “Lui mi ha picchiata, ma io ho sbagliato”, diceva. Il primo obiettivo è spezzare l’ingranaggio che ha permesso alla violenza di insinuarsi: è qualcosa di molto complesso, perché bisogna portare la vittima nelle condizioni di essere aiutata».

Codice rosso antiviolenza: i Carabinieri arrestano l'astigiano violento che continuava a presentarsi a casa della compagna 1La legge è dalla parte delle donne?

«Dopo l’introduzione della norma numero 69 del 2019, il cosiddetto Codice rosso, abbiamo gli strumenti per intervenire. Ciò che resta molto complesso è agganciare la vittima, che spesso non ha fiducia nelle istituzioni. Mi sono reso conto di quanto sia importante far capire alla donna che possiamo intervenire. Così, lascio il mio numero di cellulare: in caso di emergenza, devono fare il 112, ma è un modo per dire che sono presente. Fin dal primo incontro è fondamentale ascoltarle e metterle a proprio agio, senza giudizi. Nella maggior parte dei casi, si presentano e poi se ne vanno, per ritornare molte altre volte. Spesso sono convinte di poter gestire i comportamenti dell’uomo. Le lasciamo andare, ma in realtà non è così. Continuiamo a seguirle a distanza, costruendo una rete di protezione, pronti a intervenire. È importante la collaborazione di familiari, amici, vicini di casa, insegnanti dei figli, datori di lavoro, che possono riportarci ciò che sanno, senza per forza diventare testimoni di fronte alla legge».

E degli uomini violenti si è fatto un’idea?

«Non esiste un uomo-tipo. Molti provengono da contesti familiari in cui era presente una persona violenta, ma non è una regola: alcuni sono insospettabili e le loro stesse famiglie rimangono sconvolte di fronte all’accaduto. L’uomo violento interpreta il dominio sulla donna come qualcosa di normale, perché la percepisce come una sua proprietà».

Visti i dati sulla violenza contro le donne, come se ne esce?

«È fondamentale la prevenzione. Spesso, dopo gli incontri pubblici, si sono presentate vittime che hanno trovato il coraggio di chiedere aiuto. Inoltre, bisogna fornire alla donna le giuste risposte: farle capire, per esempio, che non verrà separata dai figli e che verrà aiutata nel costruirsi un’indipendenza lavorativa, economica e abitativa. Per fortuna, ad Alba, esiste una rete molto efficace, che agisce in modo coeso, grazie a enti e associazioni».

È rimasto in contatto con le donne che ha seguito, maresciallo?

«Sì, con molte di loro. Si sono ricostruite una vita e ne sono felice. Spesso mi chiedono se sto seguendo altre vittime. Purtroppo, devo rispondere sì: ognuna di loro non è stata la prima e non sarà nemmeno l’ultima, ma possiamo lavorare per aiutare tutte a uscirne».  

Francesca Pinaffo

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