Ad Alba riemergono alcune ossa tumulate nel settecentesco cimitero di San Rocco

Secondo gli archeologi «si è individuata una grande fossa con ossa umane frantumate mescolate a terra e a macerie moderne»

Ad Alba riemergono alcune ossa tumulate nel settecentesco cimitero di San Rocco

ALBA Là dove un tempo c’era un cimitero ora c’è una città. O meglio, ci sono alcune case, un campo da tennis e la sede di una multiservizi (sperando che resti) . E c’è il luogo dove la cantina Pio Cesare si sta espandendo, dall’altro lato di corso Nino Bixio. La zona del vecchio cimitero di San Rocco è all’incirca questa, a ricordarla resta il nome di una via.

Consultando il sito del Centro studi Beppe Fenoglio si scopre che per sostituire «il camposanto fuori della Porta del Soccorso, edificato nel Settecento grazie a un parziale smantellamento delle fortificazioni» e sito in una zona «continuamente vessata dalle inondazioni del vicino torrente Cherasca» il Consiglio comunale affidò l’incarico all’architetto Giorgio Busca di progettare l’attuale. Il terreno idoneo fu individuato nel 1853 e l’apertura avvenne nel 1858.

Ad Alba riemergono alcune ossa tumulate nel settecentesco cimitero di San Rocco 3

Il cimitero di San Rocco appare ancora nella Carta topografica degli Stati in terraferma di sua maestà il re di Sardegna (1852-1867). I più anziani, come Renato Vai, ricordano l’esistenza della cappella, «abbattuta intorno al 1950. Attorno c’era un gerbido e, lì sopra, l’Enel fece un deposito per stoccare i tubi di cemento per l’elettrificazione».

Il 6 e il 7 novembre scorsi, durante gli scavi per la costruzione delle strutture a supporto della Poio Cesare, tra corso Nino Bixio e via San Rocco, sono stati incontrati diversi resti umani. Secondo la relazione della Società cooperatriva piemontese di ricerca archeologica, «si è individuata, a partire dalla quota di circa sessanta centimetri al piano di cantiere, il colmo di una grande fossa» costituita da «un riempimento di ossa umane non più in connessione anatomica, in gran parte già frantumate e ridotte in piccole porzioni, mescolate a terra e a macerie moderne (frammenti di mattoni, malta, ciottoli, ecc…)».

Materiali gettati alla rinfusa, in una buca rettangolare di sei metri per tre, profonda circa uno e mezzo. Messa in luce pure «una piccola porzione dell’abside» della cappella, secondo gli esperti i resti sono databili tra il Seicento e il Settecento, spostati dall’originario tumulo.

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Data lo stato di conservazione delle ossa, per la maggior parte spezzettate e sbriciolate, la quota di affioramento molto superficiale e la presenza di moderno materiale di scarto, è ipotizzabile che «la fossa sia stata realizzata poche decine di anni fa e riempita con gli scheletri individuati nell’area. È verosimile che, nella seconda metà del Novecento, in occasione della costruzione della palazzina poi di proprietà dell’Enel, durante i lavori di scavo per le fondazioni si siano trovate delle sepolture che sono state quindi asportate meccanicamente e occultate nella fossa rinvenuta in questi giorni».

Pur potendo datare le ossa, trovandosi in un luogo diverso da quello originario l’interesse archeologico è stato considerato pari a zero. E, vista l’epoca di origine, Procura della Repubblica e Asl hanno avuto nulla da dichiarare. Per cui, all’Aige, società concessionaria dei servizi cimiteriali, è pervenuta la richiesta di tumulare nell’ossario i resti, riposti dentro dei sacchi con l’indicazione del ritrovamento.

d.ba.

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