Telefoni e droga ai detenuti, l’indagine interessa anche i carceri di Asti e Saluzzo

Telefoni e droga ai detenuti, l'indagine interessa anche i carceri di Asti e Saluzzo

FROSINONE È nata da un agguato a colpi di pistola compiuto all’interno del carcere di Frosinone nel 2021 la doppia inchiesta delle squadre mobili di Napoli e del capoluogo ciociaro che ha condotto oggi (19 marzo) a 32 misure cautelari, scoprendo un servizio di consegna di droga, telefonini e armi ai detenuti dei penitenziari italiani.

Tutto era partito a settembre di tre anni fa quando il detenuto Alessio Peluso aveva fatto fuoco su un gruppo di detenuti che qualche giorno prima l’avevano affrontato e picchiato. Le indagini, all’epoca, ipotizzarono un regolamento di conti tra malavita campana e albanese. La pistola, ha accertato la squadra mobile diretta dal vice questore Flavio Genovesi, era arrivata dall’esterno con un drone che aveva recapitato l’arma direttamente nella cella del detenuto.

Gli accertamenti sulle celle telefoniche attivate e sulle frequenze usate per pilotare il drone avevano indirizzato le indagini verso la Campania dando il via ad un nuovo filone d’inchiesta.

Gli episodi ipotizzati dalla magistratura in questi due anni d’indagini riguardano gli istituti di Frosinone, Secondigliano (Napoli), Cosenza, Siracusa, Lanciano, Augusta, Catania, Terni, Rovigo, Caltanissetta, Rebibbia (Roma), Avellino, Trapani, Benevento, Melfi, Asti, Saluzzo, Viterbo e Sulmona.

I telefonini introdotti nelle carceri, come ha spiegato oggi nel corso di una conferenza stampa il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, servono per far veicolare all’esterno direttive precise. «Avere i telefoni nelle carceri è estremamente pericoloso – ha spiegato Gratteri – perché si possono mandare messaggi di morte, si possono chiedere soldi e commettere tutti i reati possibili e immaginabili ma soprattutto far capire all’esterno che loro, seppur detenuti, sono ancora attivi». Il fenomeno dell’uso di telefonini, ha sottolineato il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, c’è in tantissimi penitenziari italiani e potrebbe essere debellato con l’installazione di disturbatori di frequenze, il cui costo non è eccessivo. Si potrebbe iniziare, ha suggerito Gratteri, proprio dagli istituti più grandi e dove ci sono sezioni di massima sicurezza.

La presenza di uno strumento di comunicazione, hanno spiegato gli investigatori, può vanificare la certezza della pena. Anche la distribuzione di stupefacenti finisce per far aumentare il carisma delle associazioni criminali di appartenenza.

C’era un vero e proprio tariffario da parte di un service a disposizione della criminalità per fare entrare droga e telefonini nelle carceri, e in un caso anche un’arma. Mille euro per uno smartphone, 250 per un telefonino tradizionale e fino a 7mila euro per mezzo chilo di stupefacente.

Il rifornimento sarebbe avvenuto con l’utilizzo di droni che un tecnico avrebbe provveduto a truccare, non solo per trasportare un peso maggiore a quello consentito ma anche per bucare le i divieti di volo nelle zone dei penitenziari.

Il fenomeno dell’uso di telefonini, ha sottolineato il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, c’è in tantissimi penitenziari italiani e potrebbe essere debellato con l’installazione di disturbatori di frequenze, il cui costo non è eccessivo. Si potrebbe iniziare, ha suggerito Gratteri, proprio dagli istituti più grandi e dove ci sono sezioni di massima sicurezza.

Ansa

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