
ABITARE IL PIEMONTESE La presenza della rapa nell’immaginario della civiltà piemontese è costante. Coltivata a scopo alimentare per la sua radice rotonda, carnosa e commestibile, la Rava (brassica rapa) presenta un colore variabile in base alla specie ed è ricoperta da una sottile pellicina non commestibile. Il sapore è piuttosto dolce e la consistenza leggermente spugnosa. In passato le rape venivano utilizzate sotto forma di decotto mescolato a grappa e miele per ottenere una bevanda adatta ad alleggerire i disturbi di gola.
L’etimologia riconduce al latino medievale rapa, neutro plurale del classico rapum (rapa), passato in piemontese al femminile rava come all’italiano rapa. La bota rava è la zucca secca di forma appiattita utilizzata come borraccia, mentre la ravanastra (brassica campestris) è la senape nera, erba spontanea dalle proprietà officinali, da cui le ravanastre (la varicella) per tutti i puntini scuri che costellano il corpo, fino ad arrivare al ravanin, il rapanello, ma anche una percossa con le nocche della mano.
Nella regione subalpina, Rava è l’orologio da taschino per la sua forma piatta, ma anche un cognome tipico, così come Ravera (il terreno coltivato a rape) e Ravizza (da raviss, il torsolo della rapa). Si servono di questa pianta diversi modi di dire. Testa ‘d rava (testa di rapa): persona sciocca, insulsa o testa rasata; gavé sango da na rava (togliere sangue da una rapa) significa monetizzare con ogni mezzo; rivé al temp del rave cuìje (arrivare al tempo delle rape raccolte) è indicativo di chi si mostra disponibile quando è ormai troppo tardi.
C’è poi la storia della rava e della fava: è un’allitterazione che descrive una conversazione banale, spesso dovuta alla dinamica che costringe alla loquela. Le due parole chiave, che rappresentano ortaggi antichi e umili, sono bisillabe con la doppia vocale (a) e fanno anche rima. Questo genera una struttura aperta che evoca un parlare seriale, monotono, inconcludente, simile al bla bla bla tipico dei fumetti, quando i personaggi ciarlano invano. Le rape si fanno cuocere: in questo modo appassiscono e la polpa si ammorbidisce. Sarà per questo che anche l’individuo piemontese, quand’è proprio stanco dichiara: son cheut come na rava (sono cotto come una rapa).
Paolo Tibaldi
