Pensiero per domenica – XXIV tempo ordinario – 15 settembre
Nel Vangelo ci sono tante domande: non solo quelle rivolte a Gesù dalle persone che lo incontrano, ma anche quelle che Gesù rivolge un po’ a tutti. A differenza dei sapienti del mondo – oggi li chiameremmo opinionisti – che hanno la risposta pronta su qualsiasi argomento, Gesù è l’uomo delle domande. Ma sono domande che inchiodano, come le due che leggiamo nel brano di Vangelo di oggi (Mc 8,27-35): «La gente, chi dice che io sia? – Ma voi, chi dite che io sia?».
Per conoscere Gesù devi seguirlo. C’è un salto qualitativo incredibile tra le risposte della gente, che i discepoli riferiscono – «Giovanni Battista, Elia, Geremia» – e la risposta di Pietro: «Tu sei il Cristo». Per capire la portata di questa risposta – esatta, pur se ancora incompleta! – dobbiamo notare che il dialogo tra Gesù e i discepoli è collocato a metà del Vangelo di Marco. Chi, a nome degli altri discepoli, dà questa risposta ha alle spalle parecchi mesi di sequela di Gesù. È questo che fa la differenza. Un incontro occasionale con Gesù può farti “innamorare” di lui; per conoscerlo devi stare con lui a lungo, devi camminare con lui.
Se hai conosciuto Gesù devi farlo vedere. È il messaggio chiarissimo della seconda lettura, tratta ancora dalla lettera di Giacomo (2,14-18), un testo molto forte, che molti commentatori hanno cercato di contrapporre a Paolo, perché sembra suggerire un primato delle opere sulla fede. In realtà, il messaggio è molto più semplice, anche se non meno impegnativo: la fede non può restare nascosta nell’interiorità; non può limitarsi a un vago sentimentalismo spiritualista. La fede deve esprimersi in gesti di amore concreto, che hanno a che fare con il corpo, come il dare cibo a chi ha fame.
ANNO DELLA PREGHIERA – 30. C’è un ultimo risvolto, paradossale, della fede, che si intreccia con la preghiera. Ce lo suggerisce la prima lettura, il terzo canto del Servo del Signore (Isaia 50,5-9). La fede viene talora messa alla prova dalla sofferenza. Isaia, scrivendo per il popolo in esilio a Babilonia, tocca con mano che ci sono delle sofferenze da cui neppure Dio libera. Dio non ha preservato il suo popolo dall’esilio; ma l’ha aiutato a reggerne il peso. La stessa cosa avverrà con Gesù, nell’ora della passione e della morte. Sia il Servo che Gesù pregano: la preghiera non li libera dalla sofferenza; li aiuta a non essere schiacciati da essa. La sfida è credere che questo può avvenire anche a noi.
Lidia e Battista Galvagno