ABITARE IL PIEMONTESE Tì parla mach quandi ch’ëȓ galin-e pisso! (tu parla soltanto quando le galline orinano) è un ammonimento destinato a chi parla a sproposito, magari impartendo consigli sbagliati. Le galline, è noto, non espellono soltanto urina ed ecco perché la frase iniziale è un paradosso, chiaro invito al silenzio. Le galline, come tutti i volatili, espellono quella che in piemontese è detta squita. Chiamata anche sguita o squicia, ha diversi significati molto curiosi. Il primo lo abbiamo detto, ma con squita s’intende anche una donna spocchiosa e le ragioni sono comprensibili. Ma squita o squicia significa anche polenta e, addirittura nel Roero, c’è chi l’identifica come frana o smottamento.
A onore del vero c’è una nota storiella: una persona, proveniente dal Roero, diretta a trovare un’amica nelle Langhe, fu costretta a rincasare a causa di uno smottamento sul percorso. La giustificazione fu Son dovu torné ‘ndré, j’eȓa na squita an bele mes dȓa stȓà. All’amica stupita, parve improbabile che l’interlocutore fosse tornato indietro soltanto a causa di un escremento in mezzo alla strada. Con la stessa parola però il roerino intendeva lo smottamento di una collina che impediva il passaggio di mezzi di trasporto.
L’etimologia ce la suggerisce il Repertorio etimologico piemontese: squita o squicia proviene dalla base espressiva prelatina Skits (spruzzare), come schissé, ben diffusa in area italiana e romanza, o in alternativa alla base ugualmente espressiva Skwits, che deve la presenza del suono palatale a una probabile variante antica toscana e settentrionale schicciare o di voci dell’occitano alpino che presentano un fonema analogo, per esempio nelle Haute Alpes esquichar o nel Queyras squichar, che significa sempre schiacciare.
Nell’accezione di polenta bisogna far fede al provenzale moderno, dove esquicho mol, significa cibo molle in generale. Anche schitte in genovese, schita in bresciano e squitta in milanese, testimoniano questa declinazione. Anche le galline devono però fare attenzione: j’afé van mal quandi che ȓa galin-a a canta da gàl!
Paolo Tibaldi