
ABITARE IL PIEMONTESE Sta-sì a ȓ’é pȓòpi dròla! (questa è proprio bizzarra). Si tratta di un’esclamazione tipica dell’individuo piemontese che si trova di fronte a un fatto o a un racconto strano, insolito che talvolta sfiora il paradossale. Dròla è la parola di questa settimana, un aggettivo che arriva alla parlata subalpina direttamente dal francese, dove drôle significa divertente, buffo, spiritoso. Cercandone un’origine più antica si arriva al nederlandese (appartenente al gruppo delle lingue germaniche occidentali), con il sostantivo drol che, curiosamente, significa folletto. Il lieve slittamento semantico pare faccia riferimento all’immaginario del suo abituale comportamento, per certi versi dispettoso, sorprendente.
Effettivamente, prima in francese e poi in piemontese, la parola dròla/dròlo culmina in traduzioni come stravagante, strambo, fino ad arrivare a ridicolo. Una persona definita dròla ha idee o teorie piuttosto originali, spesso prive di buonsenso, poco condivisibili. Tra i modi di dire più comuni c’è esse dròlo come ‘n ciochin ëd bòsch (essere strano/originale come un campanello di legno) per il suo significato figurato è intuibile: il campanello di legno è così insolito e paradossale da risultare ridicolo.
Il sostantivo corrispondente alla parola di oggi è drolarìa, ovvero scherzo, facezia, barzelletta, burla, storiella piacevole. Molti spettacoli comici o clowneschi vengono così definiti. Na stòria dròla (una storia insolita) è anche il titolo di un libro che ci è capitato tra le mani tempo fa: l’autrice Silvana Sapino racconta di nonne e bisnonne in una serie di storie da fine Ottocento al 1930. Anni dove guerre e migrazioni hanno portato la maggior parte degli uomini lontano dalle famiglie, anni in cui le donne si sono spesso ritrovate sole e hanno saputo dimostrare una straordinaria tempra in ambito familiare e lavorativo. Storie dròle, intese come curiose, insolite o straordinarie, soprattutto se le vediamo con gli occhi del mondo contemporaneo.
Paolo Tibaldi
