
ABITARE IL PIEMONTESE Nelle settimane scorse abbiamo avuto il piacere di ricevere e sfogliare un libro dal titolo curioso ma efficace: Insultario piemontese-italiano, curato dall’amico Paolo Sirotto. Tra gli improperi catalogati, uno ci ha suggerito di avviare l’approfondimento: Gariboja o Griboja. Dare del gariboja a una persona ha sempre significato sottolineare il suo atteggiamento sciocco, ingenuo o di spudorato profittatore.
Gariboja è però anzitutto un personaggio preso in prestito da un nome proprio francese, originario della Picardie: Jean Gribouille (persona ingenua, sempliciona, sciocca), deverbale di gribouiller (essere confusi e agitati), originato addirittura dall’onomatopea nederlandese kriebelen/krabbelen (essere agitato con movimenti incontrollati, confondere, mescolare). La stessa voce francese ha poi dato vita a Grubouille, soprannome di Babylas Thibaut, personaggio sciocco, ingenuo che obbedisce agli ordini alla lettera.
Jean Gribouille compare già nel Sermon des fous (anno 1548), l’Allegro sermone degli stolti, riferimento per altri generi satirici riguardanti la chiesa, come le canzoni dei goliardi del tredicesimo Secolo e, a fine del Medioevo, filastrocche, strambotti e giullarate che giocano sull’assurdo e il nonsenso. Gariboja tornerà protagonista nel 1862, con il romanzo La soeur de Grubuille di Sophie de Ségur; la variante è dovuta probabilmente a un incrocio con garibaje-carabattole, cose di poco conto, antipasti.
Esse furb come Gariboja è una locuzione ancora diffusa, accostabile al corrispettivo francese Les niais de Sologne (I semplicioni di Sologna, zona francese nella valle della Loira), riferito a persone alle quali s’attribuiscono sciocchezze come a Gariboja che… stëȓmava ij sòd ant ëȓ sacòce dj’autȓi pëȓ nen fessje robé (nascondeva i soldi nelle tasche altrui per non farseli rubare); pupava soa maȓe ‘n sla schin-a (succhiava il latte materno dalla schiena); peȓ nen bagnesse o së stëȓmava ant ij rian (per non prendere la pioggia, si nascondeva nei fossati usati per annaffiare i campi), dasìa da beive a le campan-e e vestìa ij campanin (dava da bere alle campane e vestiva le campanelle).
Paolo Tibaldi
