«Vent’anni fa i mafiosi offrivano i loro pacchetti di voti alla politica, ora i candidati vanno a casa dei boss per promettere appalti pubblici in cambio di conferme elettorali»: Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, ha così esemplificato il potere politico della mafia, sempre più influente sul territorio italiano e in grado di determinare la vittoria e la sconfitta di chi sta a destra o di chi sta a sinistra, «perché non hanno un’ideologia di fondo, votano e fanno votare per il miglior offerente». Alla presentazione de La mafia fa schifo, ultimo libro nato dalla collaborazione tra Gratteri e il professor Antonio Nicaso, la sala opere diocesane, in via Mandelli ad Alba, era gremita di studenti e insegnanti. L’incontro, organizzato dal centro culturale San Paolo, Diocesi e Neuroalbabra (con la collaborazione di Collisioni e Libera) e moderato da don Antonio Rizzolo, condirettore di Famiglia Cristiana e direttore di Gazzetta, ha illustrato un’opera che parla di mafia in maniera diversa, attraverso le lettere dei molti adolescenti (tra cui vari albesi) che, rispondendo all’appello dei due autori, hanno provato a definirla, mettendo in luce le proprie considerazioni, paure e consapevolezze. Tra loro, uno studente scrive: «I mafiosi sono forti e si sentono forti perché noi glielo facciamo credere».
Giudice Gratteri, come lei ha evidenziato, le mafie oggi sono presenti al nord come al sud. Ci sono ancora delle caratteristiche che le distinguono?
«Assolutamente no. Non esiste una ’ndrangheta del sud e una ’ndrangheta del nord, esiste una mafia che ha interessi economici molto forti nel controllo del territorio lombardo.Ese qualcuno pensa di sganciarsi dalla mafia del sud viene ucciso; basti pensare a Carmelo Novella, capo della ’ndrangheta lombarda, che, volendo tagliare il cordone ombelicale con l’organizzazione calabrese, è stato assassinato nel 2008. Presenti in Piemonte e Lombardia da ormai quarant’anni, le mafie al nord sono strutturate esattamente come quelle del sud e presentano lo stesso modus vivendi e operandi: controllano gli appalti pubblici, si occupano di riciclaggio di denaro e spaccio di cocaina. Lo fanno in maniera evidente, machi non vuole vederlo continua a negare, tra gli addetti ai lavori e gli uomini nelle istituzioni. È il caso dell’ex sindaco di Milano Letizia Moratti, che ha negato l’esistenza della mafia nella sua città».
È evidente una connessione tra questa crisi economica e l’aumento della mafia?
«Certo: in questo momento l’obiettivo delle organizzazioni mafiose non è soltanto arricchirsi, ma giustificare la ricchezza. Sono loro a detenere maggiori liquidità, provenienti dal traffico di cocaina, da immettere nei circuiti legali. Quali possibilità ha adesso un imprenditore in rosso? Può fallire, rivolgersi a un usuraio o far entrare le organizzazioni criminali nelle proprie attività commerciali e produttive. Ma se fallisci, puoi sempre ricominciare da zero, mentre dall’usura non si esce. Oggi ti offrono borse di denaro in contanti, domani ti rilevano l’impresa».
Cosa pensa degli arresti di mafiosi che l’ex ministro dell’interno Roberto Maroni ha mostrato ai media come punta di diamante della lotta alla criminalità?
«Non credo che quel Governo, così come un altro, possa prendersi dei meriti se sono state arrestate delle persone o se si sono fatte indagini. Inoltre non è un dato significativo: non si può misurare la lotta alle mafie, o la sua presenza, in base al numero dei catturati. Bisogna toccare il polso ai commercianti e osservare la vivibilità della gente per determinarne il grado di pervasività e di controllo del territorio».
C’è chi sostiene che libri come Gomorra o come quelli che lei scrive col professor Nicaso danno una brutta immagine dell’Italia all’estero. Lei cosa risponde?
«È inutile nascondere la polvere sotto il tappeto, il problemava denunciato e affrontato. Piuttosto che non scrivere brutte cose che potrebbero “mettere in cattiva luce” il nostro Paese, è necessario rimboccarsi le maniche e cambiare le regole del gioco, per far sì che la lotta alla mafia sia più concreta».
Chiara Cavalleris