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Barbaresco, addio a Pietro Berutti, il “partigiano del vino”

BARBARESCO Un altro dei testimoni della Resistenza se n’è andato. Domenica 9 agosto, nel cuore di un caldo estivo che prepara una nuova vendemmia, si è spento a Barbaresco Pietro Berutti, per tanti “Gino”, un uomo che aveva partecipato attivamente alla guerra di Liberazione e che poi aveva dedicato lunghi anni alla causa del vino, del Barbaresco in particolare. Era nato a metà maggio del 1922 ad Alba da una famiglia che veniva da Neviglie. Ben presto aveva conosciuto le difficoltà della vita, restando orfano di padre a soli dieci anni. A poco più di vent’anni aveva dovuto prendere le sue responsabilità in quella “doppia guerra”, che prima lo aveva coinvolto come conflitto mondiale e, poi, come guerra partigiana. Durante questo secondo conflitto aveva iniziato a frequentare il paese di Barbaresco, dove conobbe Romana, la ragazza quindicenne che poco tempo dopo sarebbe diventata sua moglie.

Pietro Berutti_

Da Barbaresco Pietro Berutti non si staccò più. Terminata la guerra, viveva e lavorava a Torino, ma continuava a tornarvi sistematicamente con la moglie e il piccolo Gualtiero (nato nel 1947) soprattutto nei fine settimana per aiutare a portare avanti quella piccola azienda agricola che la famiglia della moglie aveva poco per volta messo insieme. Pietro Berutti si fece trovare pronto quando scattarono gli anni Sessanta, un periodo nevralgico per il vino italiano e piemontese: la legge 930 sulle denominazioni di origine, promulgata nel 1963, era il primo tassello di un processo di regolamentazione e valorizzazione che avrebbe portato alla consacrazione a livello mondiale del vino di casa nostra. Poco per volta Berutti potenziò la piccola struttura agricola di famiglia, costruì la cantina, aumentò vigneti e varietà coltivate, ma con un occhio di riguardo per il Nebbiolo da Barbaresco. Nacque così La Spinona, l’azienda agricola che in etichetta porta ancora adesso la figura di cane al quale era rimasto particolarmente legato.

Volendo ricordare con affetto e riconoscenza il “Gino” produttore di vino”, riporto ciò che mi ha detto durante uno dei nostri incontri parlando di vino e del Barbaresco: «Era il 1971 quando sono tornato a Barbaresco e la “malattia” del vino mi ho preso totalmente. Vigna e cantina, quando ti entrano dentro, sono come un “innamoramento”. Non ne guarisci più. Per me è stato un crescendo che mi ha portato nel giro di una cinquantina di anni a mettere insieme quattro cascine, 27 ettari vitati, prima a Barbaresco, poi anche nella zona del Barolo, a Novello». Mi raccontava volentieri i suoi pensieri e le sue impressioni: si stupiva dei grandi cambiamenti che si erano attuati anche nel vino. Una delle ultime volte che l’ho incontrato, l’ho visto camminare silenzioso e con difficoltà tra le sue botti e accarezzarle a una a una. Si meravigliava che lui e altri, in questi cinquant’anni, fossero riusciti a portare su queste colline tanta fortuna. «Anche noi siamo andati in giro per il mondo – ricordava con orgoglio – e l’abbiamo fatto cercando i mercati giusti per i vini che hanno la firma di queste colline e del Nebbiolo, il vitigno che i nostri vecchi hanno conservato e noi abbiamo voluto valorizzare».

Lascia un’eredità importante, fatta di vigne e di botti, di uva e di vino. Ma è più importante ancora il suo stile e il suo esempio: quelli di un uomo che nella vita ha saputo assumersi le sue responsabilità e portarle fino in fondo. Il Barbaresco ha perso uno dei suoi “testimonial” più appassionati.

Giancarlo Montaldo

I funerali si terranno martedì 11 agosto alle ore 10 nella Parrocchia di San Giovanni Battista di Barbaresco.

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