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A Vinitaly i timori dei produttori tra la Brexit e Trump

A Vinitaly i timori dei produttori tra la Brexit e Trump

VINO Meno volti e corpi che esplorano i padiglioni, a causa degli 80 euro richiesti in cambio dell’ingresso. Il commissario europeo Phil Hogan che taglia il nastro. Stand futuristici, bianco abbagliante e pannelli con gigantografie di Langa e Roero. Per terra, un tappeto bordeaux. La cinquantunesima edizione di Vinitaly inizia: durante la prima giornata, domenica 9, la kermesse veronese sembra ricoperta da uno strato di metallo che assolve a una duplice funzione: da un lato protegge i produttori vinicoli, li accomuna e rende più morbida la competizione. Dall’altro sembra riflettere le dinamiche sociopolitiche dell’anno. Le paure e gli entusiasmi commerciali, le intemperie geopolitiche e una crisi economica indecifrabile, dichiarata da alcuni defunta e da altri appena cominciata.

I produttori piemontesi (oltre 600 nel Padiglione 10) arrivano il sabato con valigie e carrettini. Stappano bottiglie che verranno assaggiate dai clienti, scambiano strette di mano. Per loro Vinitaly è un ritrovo “obbligato”, un momento per fare nuovi clienti, ma anche per trovare tregua dal ritmo scandito dalla terra e dalla burocrazia, dalle mail e dalle necessità quotidiane.

Raccontano storie che nascondono emozioni. «Con Trump e la sua decisione di inserire tasse aggiuntive sui prodotti europei non sappiamo che cosa potrà accadere. La mia azienda esporta il 40 per cento dei prodotti negli Usa, per un corrispondente fatturato del 60 per cento sul totale. Un cambio tariffario comporterebbe un trauma», spiega un produttore di Barbera e Nebbiolo di Diano

Anche la percezione di sicurezza sembra giocare un ruolo nel business. Una produttrice astigiana confessa: «Parlavo con il mio importatore svedese il giorno dopo l’attentato di Stoccolma: era turbato. Aveva bisogno di sentirmi vicina. Mi chiedeva se io non avessi paura. Ho capito che il business in questo periodo storico è legato ad affetti ed emozioni, che a loro volta sono condizionati da ciò che succede attorno. Senza contare che la crisi economica non è finita. Anche se i media ci raccontano un’altra storia, negli Stati Uniti i mutui subprime sono in crescita. Proprio come avvenne nel 2008 durante l’esplosione della bolla immobiliare che oggi sembra di nuovo ingigantirsi. Ma ogni bolla è destinata a scoppiare».

Poi, la Brexit. Secondo le ultime rilevazioni Ismea, l’Italia è il primo Paese fornitore di vino nel Regno Unito con 3,2 milioni di ettolitri nel 2016 (+4% rispetto al 2015) e il secondo in termini di fatturato (pari a 813 milioni di euro). «Non sono mai riuscito a trovare un importatore in Inghilterra», racconta un piccolo produttore di Barolo. «Per noi il Regno Unito è come una terra promessa, l’eden da raggiungere. Eppure il mercato è troppo competitivo, la fascia di prezzi bassa per un vino prestigioso come il Barolo. Con la Brexit le speranze si sono affievolite. Non riusciremo mai a conquistare l’isola».

Per la prima volta a Vinitaly sembra di assistere a una presa di consapevolezza: oltre al cortile privato e agli interessi di vendita individuali esiste anche un mondo politico e macroeconomico. Dal quale tutti, a prescindere dalle proprie ambizioni e dai successi, dipendiamo.

Marco Giuliano

 

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