ABITARE IL PIEMONTESE
Sfiȓosmià: Esausto, stravolto, irriconoscibile, privo di fisionomia umana
Sfisonomià, Dësfiȓosmià, Dësfusmià. Insomma, le sfumature variano di bricco in bricco, ma la sostanza è universale. Quando ci si mette di buona lena, con la più fervida intenzione e i migliori propositi a svolgere un’attività fisica che non si è pronti ad affrontare, sia essa lavorativa o sportiva, si arriverà al termine per inerzia, ammesso che ci si arrivi, talvolta perdendo il controllo del proprio corpo o della muscolatura facciale, ridotta ad una smorfia esausta, indecorosa, disumana, letteralmente con la lingua di fuori.
Così anche le dichiarazioni che si faranno ai compari ,non appena terminata l’esperienza e in attesa di recuperare un po’ di fiato, saranno colorite ed estreme: “nu peuss pì” (non ce la faccio più), “son s-ciopà” (sono scoppiato, in senso figurato), “pìjme na cadȓega” (prendimi una sedia), “deme mach da bèive” (datemi da bere).
È proprio a questa condizione psico-fisica che si riferisce la parola di oggi: sfiȓosmià, con tutte le sue accezioni, indica nient’altro che una condizione assoluta di affaticamento che, quando riferita a persone, queste ultime non lesinano a paragonarsi ad animali da lavoro (muli, asini, cavalli, buoi). La mancanza di una fisionomia credibile, i famosi “pomin ross”, il sudore grondante, i capelli spettinati e una respirazione faticosa, sono quindi i requisiti per individuare il livello di stravolgimento della persona stessa.
E così anche il nostro scrittore Beppe Fenoglio, tra un neologismo, un’anacoluto anglofono e un calco linguistico piemontese, nel racconto “Vecchio Blister”, ripropone la parola di questa settimana facendola italiana. Nel monologo del Partigiano Blister, infatti, mentre quest’ultimo sta cercando di discolparsi con i colleghi per un’azione svolta in maniera indegna, pronuncia la frase “Si capisce che io avevo una faccia un po’ sfisonomiata, ma non credo che fosse una faccia cattiva.”.
Paolo Tibaldi