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“Sapin”: uno strumento molto utile per la ricerca dei tartufi

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Sapin: Zappino a due denti per la ricerca dei tartufi; piccolo esemplare di abete; smorfie involontarie di un bambino offeso.

La Fiera pare realmente terminate da queste parti, ma il tartufo bianco è nel buono della sua ricerca. Prima dei cani, venivano utilizzati i suini: anzi, furono proprio i maiali a comunicare all’uomo che sottoterra poteva esserci qualcosa di interessante e profumato. In un documento vezzese del 1741 troviamo una delle più belle definizioni del tartufo: “Un frutto dato dalla Provvidenza a quei miserabili paesi di collina, col quale si soccorrono li poveri abitanti, mentre col loro prezzo suppliscono in parte al pagamento de’ reggi tributi”. E così l’uomo si mise a scavare, delicatamente.

Oggi parliamo proprio del sapin, lo strumento simile ad un sarchiello a due denti, utile ai cercatori di tartufo per scavicchiare pochi centimetri sotto terra, dove comincia a raspare il cane, e portare alla luce il massimo tesoro, integro e senza urti. È vero, il sapin in alcuni luoghi viene chiamato sampin, ma la sostanza è la stessa – il diminutivo di zappa (sapa/sampa), proprio per connotare un’inferiore dimensione dell’attrezzo.

Di significati, la parola di oggi, ne porta almeno tre. Oltre alla definizione appena data, sapin, è anche un piccolo esemplare di abete: bianco, rosso o montagna. Anche in questo caso è un diminutivo; ma la parola di riferimento per l’abete è sap, originata dalla sua base prelatina sappo (abete Pinus abies).

Gli animi più affabili stavano sicuramente attendendo la terza e ultima definizione di sapin, vale a dire quella smorfia che manifestano involontariamente i bambini prima di anticipare un pianto e a seguito di un’ingiustizia che pensano di aver subìto. Fè ij sapin significa proprio impietosire, disarmati, sé stessi e gli altri cercando di trattenere vanamente un pianto. Tecnicamente l’espressione del sapin si può eseguire seguendo queste istruzioni: con la bocca formare una parabola a concavità verso il basso; far tremolare il mento e infine modellare le sopracciglia per comunicare debolezza e richieste di pietà. Tanto per capirci: i sapin sono il contrario degli scacaròt.

Paolo Tibaldi

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