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Scopriamo perché il bambino è detto “Masnà” in Piemontese

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Masnà: Bambino/a, fanciullo/a nell’età dell’infanzia

A Natale nasce Gesù Bambino: una premessa neanche troppo scontata, oggigiorno. Sì perché, credenti o meno, è un concetto da sapere. Le imbarazzanti fagocitazioni pseudo-allegoriche attorno a questa festività fanno sì che il significato venga spesse volte travisato, con pretesti sospesi tra il commerciale e il sottoculturale. E allora oggi parliamo di masnà che, chiaramente, significa bambino. La particolarità di questa parola piemontese è che non varia al maschile, al femminile, al singolare o al plurale.

Bisogna fare attenzione a non confondere masnà piemontese, con la masnada italiana che, sin dai tempi di Dante, significa “schiera”, “esercito”, “moltitudine”. I due termini sono però legati: infatti, occorre risalire al latino medievale MANSIONATAM ‘tutto ciò che fa parte della casa’ (MANSIONEM – ‘casa’), da cui derivano con l’italiano masnada, in origine “insieme di famigliari”, poi “schiera di armati” e successivamente “compagnia di gente disonesta e violenta”. Da qualche parte, si dice anche mat o mata, con una evoluzione linguistica che abbrevia matòt e matòta.

Diversi sono i modi di dire che contengono questa parola. Ne cito uno, a rappresentanza di tutti: Galin-e e masnà i pòrto ȓa guèra ‘nt ȓa boȓgà (Galline e bambini portano guerre nelle borgate). E se qualcuno vi dice: fame voghe eȓ bambin, non dovete fargli vedere un bambino in carne e ossa, bensì il regalo arrivato in occasione del Natale, perché la parola bambin è antonomasia di Gesù appena nato, simbolo dogmatico e metaforico di un dono ricevuto.

Quando invece una nonna vi si avvicina con atteggiamento di mirabile segretezza e vi passa qualcosa sottobanco, un regalo, con sguardo severo ma benevolo… bene, quello è il suo bambin. Un altro modo per chiamare Gesù Bambino è proprio masnajin.

La parola proposta oggi, masnà, ci ricorda che tutti noi siamo stati, o forse lo siamo sempre, un po’ fanciullini, come diceva Pascoli, e non deludere il bambino che c’è dentro ognuno di noi.

E allora, buon Natale!

Paolo Tibaldi

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