Parlare in nome del popolo o in nome di Dio?

PENSIERO PER DOMENICA – IV DEL TEMPO ORDINARIO – 3 FEBBRAIO

La missione del profeta è scomoda: lo era ai tempi di Geremia (1,4-5.17-19), sei secoli prima di Cristo, lo era ai tempi di Gesù (Lc 4,21-30), lo è oggi. Il profeta, nella Bibbia, non è colui che prevede in anticipo gli eventi futuri, ma colui che legge il presente con gli occhi di Dio. E spesso propone una lettura degli eventi diversa da quella comun

Le vicende di Geremia e di Gesù si assomigliano in parecchi tratti. Geremia, in una fase drammatica del regno di Giuda, con Gerusalemme assediata dai Babilonesi, contro l’opinione delle autorità politiche e militari del suo tempo, alzò la sua voce per invitare ad arrendersi alla superiorità dell’avversario, cercando un compromesso onorevole, anziché tentare una impossibile resistenza. Non fu compreso e fu perseguitato. Il brano evangelico racconta il ritorno di Gesù a Nazareth, la cittadina che l’aveva visto crescere. Durante la preghiera del sabato nella sinagoga fu invitato a commentare il brano biblico. Era l’occasione per presentarsi come l’inviato di Dio ai poveri e agli oppressi. Questo non piacque: gli abitanti di Nazareth non volevano un profeta, ma un guaritore, un “mago” che stupisse, che risolvesse i problemi con la bacchetta magica, conferendo prestigio alla città. Di qui il rifiuto violento.

Parlare in nome del popolo o in nome di Dio?
Il profeta Geremia, da una miniatura del XIV secolo (Padova, biblioteca capitolare della Curia vescovile)

Il coraggio di andare controcorrente è uno dei caratteri del profeta. Egli ha il coraggio di alzare la sua voce contro chi ritiene che l’appellarsi al popolo sia il criterio definitivo per definire ciò che è bene e ciò che è male. Sarebbe errato pensare che l’unico modo per amare il popolo sia identificarsi con tutto ciò che il popolo dice e fa. Il popolo non è automaticamente infallibile: anche il popolo sbaglia e può essere ingiusto. Per questo ha bisogno di voci profetiche, capaci di indicare con sincerità e coraggio quali errori sta facendo. Senza queste voci, il popolo perde la propria coscienza. Questa può essere risvegliata o dai profeti o dagli obiettori di coscienza.

La Chiesa ha bisogno di profeti per tornare a essere significativa agli occhi degli uomini e delle donne di oggi, in particolare dei giovani. In un mondo segnato dall’indifferenza e dall’inganno delle post-verità, una voce profetica forte è quella indicata dall’apostolo Paolo nella prima lettera ai Corinzi (12,31-13,13): la “voce” della carità, la profezia dei gesti concreti di amore, di vicinanza verso chi è nel bisogno, di accoglienza con chi è disperato, di umana com-passione per chi è nella sofferenza.

Lidia e Battista Galvagno

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