Il ricordo di Bruno Caccia a 36 anni dalla scomparsa. La figlia Paola: “La verità un dovere per tutti”

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TORINO Non solo un momento di ricordo a 36 anni dall’omicidio, avvenuto il 26 giugno del 1983, ma un’occasione per aprire ulteriori spiragli di verità sulla fine del procuratore di Torino Bruno Caccia: la giornata organizzata, ieri sabato 18 maggio a Torino, dal Movimento Agende Rosse, in collaborazione con la Commissione Comunale Consiliare Speciale di promozione della Cultura della Legalità e del contrasto dei fenomeni mafiosi, è stata la dimostrazione che la figura del magistrato non è stata dimenticata.

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“La giornata è andata bene”, spiega la figlia Paola Caccia: ”Al mattino si è tenuto un incontro con gli studenti delle ultime classi del liceo artistico Cottini. Insieme a me c’era Marco Bertelli del Movimento Agende Rosse, e ci siamo soffermati soprattutto sui valori. Al pomeriggio si è fatto il punto sulla situazione dei processi e delle indagini e in particolare delle cose che ancora non ci tornano”.

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All’incontro moderato dalla giornalista Antonella Beccaria nella sala Norberto Bobbio, la cui registrazione completa si può vedere cliccando qui, ha partecipato un folto pubblico. Al fianco di Paola Caccia c’erano Fabio Repici, avvocato della famiglia, il consulente della Commissione Parlamentare Antimafia Davide Mattiello, e, per la prima volta, il magistrato Mario Vaudano, oggi 74 anni, all’epoca dei fatti giudice istruttore nel capoluogo piemontese, poi procuratore ad Aosta e infine magistrato dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf).

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“Si è trattato di un passo avanti, secondo me, nel riconoscere le anomalie della vicenda: una sorta di ideale continuazione dell’audizione dell’avvocato Repici del novembre scorso, con l’apporto del magistrato Vaudano che non solo ha ricordato quel periodo ma  ha dato la sua testimonianza per aver lavorato al fianco di mio padre negli ultimi tempi”, dice Caccia.

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La figlia del procuratore ucciso, che è sepolto a Ceresole d’Alba, sottolinea anche un altro aspetto della vicenda: “Ci pare un segnale positivo che nei mesi scorsi, separatamente, mia sorella, mio fratello ed io stiamo stati convocati, finalmente, dopo 36 anni, dal Procuratore generale di Milano Roberto Alfonso e dal sostituto procuratore Galileo Proietto, che ha sostenuto l’accusa nel processo di appello a Rocco Schirripa. Abbiamo avuto modo di raccontare fatti ed esprimere i nostri dubbi, a partire dal fatto che siano stati i servizi segreti a condurre le indagini del primo processo, e che non siano mai stati ascoltati i magistrati con cui mio padre lavorava negli ultimi tempi, per chiarire di che cosa si stesse occupando. Attualmente la nostra speranza è che il Giudice per le indagini preliminari non archivi i fascicoli ancora aperti.”

Alla Procura di Milano è infatti ancora aperta un’inchiesta a carico di Francesco D’Onofrio, ex militante di Prima linea ritenuto vicino alla ‘Ndrangheta e indagato a piede libero come possibile altro esecutore materiale dell’omicidio, in base alle dichiarazioni del pentito Domenico Agresta. Resta inoltre aperto il fascicolo che riguarda Rosario Cattafi e Domenico Latella, che secondo la famiglia del magistrato ucciso avrebbero delle responsabilità nell’omicidio, in particolare come mandante e killer. “La verità mi sembra un dovere per tutti”, conclude Caccia.

Adriana Riccomagno

 

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