La testimonianza del prete missionario tra gli zingari

DAL GOLFO DEL BENGALA Renato degli zingari, Renato lo zingaro, il prete degli zingari: sono alcuni dei nomi con cui è conosciuto, in tre continenti, il sacerdote Renato Rosso, 74 anni, nato in Langa, non lontano dai luoghi della Malora fenogliana. «Ho vissuto la mia infanzia a Cortemilia, mia madre proveniva da Cravanzana, di cognome era Abbà uno dei tanti gruppi familiari, probabilmente, di origini ebraiche»: sceglie di partire dalle radici, raccontandosi in una sera di fine settembre con il duomo di Alba alle spalle.

La testimonianza del prete missionario tra gli zingari
Don Renato Rosso, con due suore Luigine, all’inaugurazione della mostra sul Bangladesh aperta nella chiesa albese di San Giuseppe.

Racconta più di 40 anni di presenza e “apostolato” fra le genti zingare d’Italia, Brasile, India e Bangladesh: «Ho iniziato a frequentarli 50 anni fa durante il ginnasio e il Seminario: erano i più poveri in città, li raggiungevo lungo il Tanaro e tenevo lezioni improvvisate di scrittura con un pezzo di legno per tracciare le lettere sulla sabbia». Poco più che ventenne, negli anni ‘70, conclusi gli studi teologici, la decisione di partire condivisa con un sacerdote milanese, la richiesta al vescovo di Alba e l’autorizzazione alla missione fra le genti nomadi. «Ho trascorso 12 anni in mezzo agli accampamenti in Italia. Avevo un piccolo carretto che trainavo a mano seguendoli negli spostamenti. Poi ho vissuto in una roulotte», spiega don Renato. «La vita con loro in Italia e in Brasile non è stata molto diversa da quella di un prete di campagna da queste parti, una vita sedentaria. Nei gruppi tutti sono battezzati anche se non sono molti i praticanti». Dopo 8 anni di permanenza in Brasile, che conta oltre 300mila “nomadi”, la partenza per il subcontinente indiano dove il “prete degli zingari” si trova, senza interruzioni, dal 1992.

«In India e Bangladesh lo stile di vita dei Bede o zingari dei fiumi (noti anche come sea-gipsy) è diverso sotto vari aspetti», prosegue. «Stare con i Bede significa seguirli nei loro spostamenti con le barche, vere e proprie case galleggianti, che usano per percorrere i grandi fiumi dell’area. Ma non è l’unico gruppo presente nell’area, altri hanno tradizione di insediamenti in tende». La storia di questo popolo, che ha vissuto una vera e propria diaspora in tutto il globo, ha a che fare con le radici sanscrite (una lingua antichissima parlata nell’attuale India) del loro parlare, tradizione che in tempi più recenti si è intrecciata con le grandi correnti confessionali che hanno condotto i nomadi del subcontinente ad abbracciare la fede islamica e quella induista.

«I Bede sono per lo più musulmani, una realtà confessionale florida ma estranea a ogni fanatismo», questa la peculiarità che fa da sfondo alla missione pastorale del sacerdote albese nel Golfo del Bengala. «La gente che incontro qui usa spesso la parola conversione associata all’incarico che svolgo. Io credo che occorra anzitutto convertire sé stessi ad accogliere le differenze e l’altro, lo scopo della mia permanenza fra loro è quello di voler bene alle persone, aiutarle a essere più autentiche, poco importa se Dio sceglie di parlare loro attraverso il volto bonario di Ganesh o usa le parole della Gita (Bhagavdgita è un testo sacro induista) perché questa è la via che sceglie per manifestarsi».

Da decenni don Renato porta avanti un programma di scolarizzazione itinerante fra i rom con docenti che seguono nei loro spostamenti gli studenti: mentre all’inizio gli insegnanti erano scelti fra i “non nomadi”, con il procedere dell’iniziativa sono stati gli stessi Bede a fornire il personale. In crescita anche le vocazioni nei gruppi zingari, a tutt’oggi sono almeno 60 i nuovi sacerdoti dei vari gruppi rom insediati fra Asia, Europa, America latina e del Nord, nonostante i contesti nei quali operano siano profondamente diversi.

«A me non accade nulla se battezzo uno zingaro musulmano, non vengo perseguitato. Però chi sceglie di convertirsi viene condannato a morte dalla sua gente. È il caso di un uomo scomparso la sera stessa in cui aveva annunciato, alla fine di un percorso di avvicinamento al cristianesimo durato 6 anni, di essersi convertito. Di lui non abbiamo più avuto notizie», la testimonianza di padre Renato che sposta il focus verso la realtà dei rom d’Italia.

«Come ogni gruppo anche gli zingari hanno santi, poeti, artisti, politici, ladri e delinquenti». Il bersaglio del sacerdote sono gli stereotipi che da secoli emarginano i nomadi. «In Italia, quando parli con la gente, l’idea è che i rom siano tutti ladri, un’immagine che trova conferma se non consideriamo i molti “lunaparkisti” e circensi che vantano nomi importanti nel panorama nazionale e quanti hanno intrapreso carriere professionali. Certo chi non riesce ad adeguarsi reinventando la propria identità è tagliato fuori e finisce nel girone dei procedimenti penali, per pagare i quali non c’è altro modo che trovare il denaro anche se non lo si ha, un circolo vizioso dal quale non è semplice uscire».

Davide Gallesio

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