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Parte alle 5 da Alba il furgone che porta i migranti in collina

Parte alle 5 da Alba il furgone che porta i migranti in collina

IMMIGRAZIONE  Ventiquattro ragazzi dormono sotto al portico di una palestra, ad Alba, sul terreno. Arrivano dall’Africa e la loro vita è un viaggio disperato da un punto all’altro dell’Europa. Ora raccolgono l’uva in Langa per pochi euro e 13 ore al giorno. Sgomberati dalla palestra, è stata trovata loro una sistemazione dal Comune. Accade nella città del tartufo bianco e dei vini blasonati, simbolo di un Made in Italy che ha il coraggio di alzare la testa di fronte alla pandemia. Accade ad Alba, dove domenica è stata inaugurata la mostra del pittore sudafricano William Kentridge, con un video che è una marcia di figure stremate, una denuncia contro l’oppressione.

Dalla chiesa di San Domenico, dove si trova la mostra, servono solo 10 minuti a piedi per arrivare in via Pola, al centro di prima accoglienza Caritas, gestito da don Gigi Alessandria. Proprio qui, sabato, sgomberati con un’ordinanza firmata dal sindaco Carlo Bo, i migranti sono stati scortati presso un’area esterna, dove l’associazione Proteggere insieme ha montato un tendone. Per i servizi, ci sono due Wc chimici, oltre alle docce della struttura. I pasti vengono distribuiti dai volontari. Vicino a ogni brandina, si vedono borsoni e zainetti mezzi vuoti, ciabatte di plastica e scarpe sporche di terra. In un angolo, le coperte logore, utilizzate come letto fino a qualche notte prima.

Migranti accampati ad Alba, il Centro di prima accoglienza allestisce le tende in via Pola 3

Chiediamo di scattare qualche foto. Alcuni si coprono con la felpa: «Non posso: ho bisogno di lavorare», ci dice uno di loro. «Per me, nessun problema», risponde un altro. La maggior parte ha tra venti e venticinque anni. L’Africa è la loro terra: Guinea, Mali, Gambia, Senegal. C’è chi è in Italia da anni e parla italiano. Arrivano da Milano, Roma, Genova, Napoli, Torino, Reggio Calabria e persino dalla Germania. Perché Alba? «È un posto dove si trova lavoro, in campagna», è la risposta. Sul come sono approdati qui, niente. Ci dicono che raccolgono l’uva. Per farsi capire, qualcuno mima il gesto di tagliare il grappolo con la forbice. Chiediamo come funziona: «Inizio alle 5 di mattina fino alle 18, per 13 ore. Ogni mattina, da Alba, ci caricano su un furgone: ci portano in collina e poi ci riportano in città», racconta un ragazzo della Guinea. «Le vigne? Mai viste prima: è un lavoro faticoso, sotto al sole con la schiena piegata, senza fermarsi un attimo».

Raccolgono l’uva e ogni giorno sono su una collina diversa. Partendo da Alba, a volte ci vogliono 10 minuti per arrivare, altre serve mezz’ora. «Lavoriamo tutti per persone diverse», è l’unica cosa che ci dicono. Quanto si guadagna? Uno di loro, a bassa voce, commenta: «Poco, poco». Di certo non abbastanza per vivere, perché non si sarebbero accampati all’addiaccio.

Sanno che resteranno qui per qualche settimana. Poi, andranno chissà dove, secondo uno schema che per alcuni dura da anni e per altri da pochi mesi. Uno, con il viso da ragazzino, ci parla della sua famiglia: «In Gambia, ho lasciato mia madre, mia sorella e i miei nipoti. Mi mancano, ma ci sentiamo tutti i giorni». Prima di arrivare ad Alba, ha lavorato in Germania, dove «la paga non era più alta che in Italia, ma ci sono più problemi con i documenti».

Un senegalese racconta invece che sua moglie e il suo bambino sono a Milano: «Lavoro per il loro bene, anche se è difficile non stare accanto a mio figlio». E continua: «Questa vita è molto dura, non si può capire, ma qui stiamo meglio rispetto a prima». Un altro assicura che «questo è il posto migliore in cui ho dormito da quando sono arrivato in Italia, tre anni fa». Davanti all’hotel a quattro stelle di via Pola, a fianco del centro di accoglienza, arrivano due turisti. A pochi metri, c’è chi ringrazia il cielo perché può addormentarsi in una tenda, su una brandina, dopo essersi fatto una doccia calda.

Don Gigi: ne abbiamo bisogno, ma li lasciamo sopravvivere ai margini

«Le migrazioni sono un fenomeno strutturato: le vediamo da trent’anni, con forme diverse, ma con gli stessi problemi, ancora senza soluzione». Ad Alba, don Gigi Alessandria è il prete degli ultimi.

Quando, dopo l’ordinanza di sgombero per gli africani, il Comune ha iniziato a bussare a tutte le porte per trovare una soluzione per i migranti, solo lui ha risposto. Non è stato possibile sistemarli all’interno del Centro di prima accoglienza di via Pola, perché tutti i 25 posti sono occupati, ma don Gigi non ha esitato a mettere a disposizione una delle aree esterne e tutti i servizi. «Ci si stupisce di 24 africani accampati per terra, ma basta seguire il corso del Tanaro per trovare altri disperati: la differenza è che, questa volta, sono arrivati in città, sotto agli occhi di tutti».

Don Gigi racconta una realtà scomoda, che esiste ma che mai prima d’ora aveva toccato Alba in maniera così evidente. «Sul nostro territorio c’è un bisogno estremo di manodopera e gli stranieri sono rimasti l’unica risorsa: in vigna, prima c’erano i lavoratori dell’Est, che ora preferiscono un lavoro migliore. Per questo, durante la vendemmia, si è iniziato a cercare gli africani, che sono completamente indifesi e per questo spesso finiscono in traffici illeciti, anche se non si può generalizzare e non si può fare di tutta l’erba un fascio. Se un residente ad Alba, italiano o straniero, non ha risorse, si rivolge ai servizi sociali. Ma se uno straniero arriva in città per lavorare in campagna ed è in condizioni di estrema povertà, senza denaro o un tetto, viene meno ogni forma di assistenza. C’è una lacuna molto grave nel nostro sistema sociale, a cui cerchiamo di dare una risposta con il centro, anche se non è facile, perché parliamo di persone che hanno bisogno di tutto». In via Pola è quasi ora di cena: «Ogni sera serviamo settanta pasti, contro una media di cinquanta prima della pandemia: sono sempre di più le persone che ci chiedono aiuto».

Francesca Pinaffo

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