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L’estremo saluto di don Roberto a chi moriva solo

ASTI Lo sconcerto negli occhi di fronte al divampare della pandemia da Covid-19 e la toccante testimonianza sullo stravolgimento della dimensione relazionale, attraverso lo sguardo di un sacerdote salesiano, che nel primo lockdown (scattato in Italia il 9 marzo dello scorso anno) ha portato l’Unzione degli infermi ai ricoverati e l’ultima benedizione ai defunti per coronavirus all’ospedale Cardinal Massaia di Asti.

A compiere questa scelta coraggiosa è stato don Roberto Pasquero, della parrocchia Don Bosco (di cui gestisce la sala cinema Lumière e la palestra), nella zona nord della città di Asti. Spiega il sacerdote: «A febbraio, il vicecappellano dell’ospedale astigiano si era recato in India. Avevo così accettato di sostituirlo fino al suo rientro, che poi il lockdown ha impedito».

L’estremo saluto di don Roberto a chi moriva solo
Don Roberto Pasquero

Da quel momento, don Roberto ha mantenuto l’impegno assunto in tempi ben diversi, fino a ricevere anche la nomina ufficiale di vicecappellano. Raccontando quei mesi drammatici, il sacerdote non fa giri di parole: «In terapia intensiva l’atmosfera era impressionante, tesa e frenetica. Medici e infermieri, irriconoscibili nelle loro tute di protezione, non lasciavano mai i pazienti e facevano davvero tutto ciò che era possibile, ma si sentivano impotenti e molto preoccupati. C’era la consapevolezza di essere di fronte a una malattia sconosciuta. I sanitari stavano lavorando a rischio della loro vita».

Il sacerdote ricorda la prima volta in cui, in quel contesto davvero fuori da comune, ha dovuto dare l’Unzione degli infermi e l’insolito modus operandi imposto dal distanziamento. «Per ragioni di sicurezza, sono stato portato in una piccola stanza vetrata, da dove si intravedevano i malati: dopo aver intinto il dito nell’olio santo e averlo avvicinato al vetro, ho fatto il segno della croce e dato l’assoluzione a distanza».
L’episodio più sconcertante per don Roberto è legato, però, a un’altra prima volta, il momento in cui è stato chiamato per una benedizione nella camera mortuaria, in piena emergenza sanitaria. «Mi sono trovato di fronte a due bare già chiuse, solo con la targhetta del nome delle persone decedute: non c’erano accanto familiari né amici che piangessero o pregassero per loro. Non c’erano fiori. Tutto era spoglio. Avendo chiesto spiegazioni, mi fu detto che da lì tutti partivano soli. Ricordo che rimasi senza fiato. Quella solitudine e quel senso di isolamento fuori dal normale erano troppo squallidi, troppo dolorosi. In un’altra, tristissima occasione, in cui dovevo impartire la benedizione a molte persone decedute, mi sono trovato di fronte a più bare in un silenzio assordante. Non conoscevo quei defunti, ma a tutti ha dato la mia benedizione. A volte, gli addetti alle onoranze funebri filmavano, per inviare il video ai parenti, affinché avessero almeno quella consolazione, dato che il Covid-19 non aveva loro permesso di vedere i loro cari né vivi né morti. Il cuore, ogni volta, mi si riempiva di grande angoscia».
In quel periodo, la ricerca del conforto religioso è stata molto sentita dalla comunità, alimentando il senso di coesione e vicinanza. Ancora il sacerdote: «Alcuni operatori sanitari si sfogavano e mi chiedevano di pregare per loro. L’emergenza cresceva ogni giorno. La domenica delle Palme, un’infermiera mi chiese di sporgerle un ramo di ulivo, riferendomi che i ricoveri erano aumentati al punto da smantellare anche due sale operatorie».

Altrettanto indimenticabile per don Roberto Pasquero è stata la riapertura delle chiese. «Ricordo il senso di liberazione quando si è potuto di nuovo celebrare la Messa in presenza dei fedeli e la commozione di alcuni di loro durante la mia prima omelia dopo il lockdown di primavera».

Don Pasquero, il sacerdote che portava la luce dei sacramenti all’ospedale di Asti

Don Roberto Pasquero nasce a Chieri, in provincia  di Torino, il 5 dicembre 1951. Il papà è operaio, ma per arrotondare lo stipendio fa anche l’operatore cinematografico al cinema Splendor, durante il periodo bellico. La mamma è commerciante, prima in un negozio di scarpe con la nonna e poi in una merceria. Don Roberto frequenta le scuole medie e il ginnasio a Chieri, presso i Salesiani.

Arriva al noviziato a Bagnolo Piemonte; poi, il suo percorso di fede e di studio lo porta alla prima professione religiosa il 16 agosto del 1968. Approfondisce la sua formazione in teologia alla Crocetta di Torino, arrivando al sacerdozio il primo luglio 1979. Inizia così la sua attività pastorale: è giovane sacerdote all’oratorio torinese di Valdocco. Dopo aver trascorso sette anni a Bra, ritorna a Torino, nel quartiere di San Salvario e poi di nuovo a Valdocco, come viceparroco a Maria Ausiliatrice. In seguito, diventa amministratore della Casa per ferie dei Salesiani di Oulx. Approda, infine, alla parrocchia Don Bosco di Asti, dove gestisce la palestra e il cinema Lumière, svolgendo anche la funzione di vicecappellano all’ospedale cittadino Cardinal Massaia.

È qui che vive, durante il terribile periodo pandemico che ci ha colpiti nel 2020, la sua più sconcertante esperienza di fede e di amore accanto a quanti soffrono e muoiono senza il conforto dei sacramenti e privati della vicinanza di parenti e affetti.

Manuela Zoccola

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