Irrigazione: in Piemonte persi 14 anni (REPORTAGE)

Irrigazione: in Piemonte persi 14 anni (REPORTAGE)
Il fiume Tanaro con poca acqua

ORO BLU Ogni occasione lasciata è persa, recita un vecchio adagio e il Piemonte, alle prese da mesi con una siccità che rischia di intaccare le produzioni agricole, secondo il senatore Dem narzolese Mino Taricco di buone opportunità, per impostare una politica oculata sulla gestione delle acque irrigue, negli ultimi 14 anni ne ha perse molte. Il tema invasi è, gioco forza, al centro delle sue considerazioni: «Nel 2008, quando ero assessore regionale all’agricoltura (e il Piemonte era retto dalla presidentessa Mercedes Bresso, nda) lanciammo un fondo rotativo da cinque milioni di euro per finanziare la progettazione di piccoli bacini a uso irriguo», esordisce.

Secondo il politico infatti, «anziché inseguire i progetti faraonici da centinaia di milioni di euro, difficili da realizzare, anche perché sono troppe le autorizzazioni richieste, è opportuno puntare a costituire un parco progetti relativi a piccoli specchi, con una capienza massima di 100mila metri cubi, cantierabili in caso di finanziamenti e capaci di risolvere i problemi di un piccolo areale». Una politica concretizzata con l’inaugurazione, nel 2017, dell’invaso di frazione Rivoira, nel Comune di Boves: «Oggi serve un’area coltivata a piccoli frutti e ha risolto i problemi di approvvigionamento».

Una via, lamenta il senatore in quota al Partito democratico abbandonata per oltre un decennio e solo tardivamente ripresa: lo scorso maggio, infatti, la Giunta regionale di Alberto Cirio ha riesumato il provvedimento, assegnando due milioni di euro per la progettazione di opere irrigue. «Se anziché lamentarci per la siccità, negli ultimi quattordici anni avessimo finanziato quattro o cinque iniziative analoghe a quella di Rivoira, il panorama del Cuneese sarebbe molto diverso oggi», precisa. Il politico cuneese, nei giorni scorsi, ha proposto alla Commissione agricoltura del Senato, della quale fa parte, la predisposizione di un piano nazionale per la gestione delle acque.

Il senatore Taricco eletto vicepresidente della Commissione per la semplificazione
Mino Taricco

Tornando alla sua esperienza di assessore regionale Taricco ribadisce l’impatto limitato sulle casse piemontesi della misura attuata nel 2008: «Il fondo rotativo anticipava i soldi per la progettazione degli specchi d’acqua ai consorzi, enti volontaristici e no profit, impossibilitati a farlo in proprio: questi ottenuti i finanziamenti nazionali o europei li restituivano alla Regione che poteva così usarli per sostenere altre realtà. Su un disegno esecutivo le spese degli studi possono impattare fino al dieci per cento: tutti i disegni esecutivi predisposti nel Cuneese sono stati finanziati».

Al caso di Rivoira, si sono aggiunti, di recente quelli del lago di Serra degli ulivi, a Pianfei, e la sistemazione dell’invaso di Pralormo. Nel primo caso, grazie a 36 milioni di euro del Piano nazionale di ripresa e resilienza, «verrà realizzata una conduttura di raccordo fra il fiume Pesio e il bacino di Pianfei e quindi un secondo invaso da 13 milioni di metri cubi, sottostante, per usi sia agricoli che ludici». A Pralormo, invece, «si è potuta recuperare la piena capacità – un milione di metri cubi d’acqua – di un lago dismesso dall’Ufficio nazionale dighe (e ridotto a soli 250mila metri cubi di capienza), attraverso la sistemazione dei canali di adduzione delle risorse idriche. L’iniziativa avrà ricadute positive sulle aree coltivate di Roero e Carmagnolese».

Un iter  analogo è stato avviato di recente dal consorzio irriguo canale Sarmassa che serve il comprensorio di Narzole e Cherasco: si tratta della costruzione di un bacino a uso irriguo fra le frazioni Picchi e San Giovanni. Gli studi preliminari puntano a sbarrare la valle dove confluiscono i rii Angetta e Gadero, per creare un lago capace di contenere due milioni di metri cubi d’acqua con i quali l’ente, presieduto da Flavio Curti, intenderebbe adacquare le campagne della città delle paci.

Stop ai prelievi in Tanaro per consorzio Lavandaro

Nel Tanaro manca l’acqua e agli agricoltori, dopo mesi di siccità, non resta che confidare nella pioggia. La situazione, per quanti dal fiume dipendono per le loro colture, si è aggravata improvvisamente. Carlo Sacchetto presiede, oltre al consorzio irriguo di primo grado canale mulino Lavandaro, l’ente di secondo grado Tanaro albese: con i suoi 17 chilometri di lunghezza, il Lavandaro serve «duemila ettari coltivati, dalla presa d’acqua, della diga di Pollenzo, fino alla frazione Canove di Govone».

La penuria di oro blu aveva costretto, prima, a una riduzione della captazione, «da 3 metri cubi al secondo, previsti nel periodo fra il 1° maggio e il 30 settembre, dalla concessione, a meno di uno». Da sabato 16 luglio, invece, «un’ulteriore riduzione ha portato il livello del fiume al di sotto della diga, imponendoci di fermare i prelievi. Non si irriga più fino alle piogge». Non va meglio nemmeno a monte: «Gli altri consorzi serviti dal Tanaro derivano lo stretto indispensabile», conclude Sacchetto.

L’urgenza potrebbe accelerare la marcia verso la realizzazione di riserve, sfruttando le cave di ghiaia dismesse dell’area: «Assieme a Egea abbiamo affidato all’ingegner Sergio Sordo uno studio di fattibilità dei bacini. Si sta valutando con l’azienda albese un possibile utilizzo a scopo idroelettrico». Il consorzio avrebbe già l’assenso con un’azienda, per usufruire di un’area estrattiva, «da rivestire, impermeabilizzandola, con uno strato di mezzo metro di marna compattata. L’invaso verrebbe collegato al canale Lavandaro a mezzo di due raccordi: uno per immettere l’acqua nei momenti di inutilizzo e un altro a valle, per distribuire le riserve nella rete». Il meccanismo funzionerebbe sfruttando le varie pendenze dell’area, «ragione per cui i bacini non si potranno costruire a eccessiva distanza dalla via d’acqua».

La capacità delle riserve oscillerebbe fra i 100 e i 300mila metri cubi, «su superfici fra i 3 e i 5 ettari che avrebbero anche una funzione naturalistica, ripristinando le moie, citate dalle mappe napoleoniche lungo il Tanaro: aree umide adatte per lo svernamento dei volatili». Un’altra operazione valutata dalla dirigenza dell’ente sono le dighe nelle valli dei corsi d’acqua roerini, «torrenti come il Talloria o il San Giuseppe, rii come il Moisa o il rio Sorso. Gli alvei non mancano e gli invasi conterrebbero pure i danni delle piene».

L’ultima opzione analizzata consisterebbe nell’escavazione di pozzi a cielo aperto, «avviando un complesso iter di richiesta delle autorizzazioni per intercettare la falda, posta a volte a tre metri di profondità, per via dello strato di ghiaia lasciato, dal Tanaro, durante gli spostamenti del suo corso, nei secoli», riprende Sacchetto. Una soluzione compatibile «con l’estrazione della ghiaia che fornirebbe vasche di accumulo dalle quali, però, servirebbe pompare l’acqua nei canali».

«Siccità, servono dei grandi invasi»

Un errore madornale: non usa mezzi termini l’ingegnere idraulico Salvatore Selleri, per bocciare la politica dei piccoli invasi a uso irriguo. Nella realtà cuneese il professionista, oggi in pensione, ha iniziato a operare come progettista nel 1958: «Il fabbisogno agricolo è quantificato nell’ordine di 160 milioni di metri cubi d’acqua, nella sola stagione irrigua», esordisce, «un problema enorme che richiede soluzioni proporzionate. In altre parole solo grandi bacini possono risolvere il problema della siccità».

Una questione già avvertita all’inizio del Novecento (a quel periodo risalgono alcuni progetti pionieristici), quando «si erano avviati studi per uno sbarramento da costruire sul Tanaro nel comune di Isola d’Asti: nelle intenzioni dei proponenti il lago avrebbe dovuto alimentare anche un canale navigabile», prosegue Selleri. La storia recente della materia, nella Granda, è costellata di successi parziali, come il caso della realizzazione del complesso di dighe sul Gesso a Entracque: «L’iniziativa, negli anni Cinquanta, vedeva in lizza, fra le altre realtà, l’Italcementi e la Piemonte centrale elettrica (Pce): a quest’ultima, poi divenuta Enel, la Provincia accordò la precedenza. Venne così realizzato lo sbarramento del Chiotas, che contiene 27 milioni di metri cubi, e il sottostante bacino della Piastra: fui io a suggerire di ampliare quest’ultimo, portando da 6 a 12 milioni di metri cubi la sua capacità», spiega Selleri. All’uso idroelettrico «era stato previsto di affiancare quello irriguo, con la possibilità di derivare oltre cinquemila litri al secondo dal complesso: della clausola, però, non si fece più cenno».

Il caso di gran lunga più noto e oggetto di discussione da decenni, tuttavia, è il lago di Demonte, meglio noto alla cronaca, che l’ha ripreso di recente, come invaso di Moiola: sarebbe «l’unico che potrebbe risolvere i problemi irrigui di tutta la Provincia», riprende il

tecnico. Si tratta del progetto di sbarrare lo Stura di Demonte all’altezza dell’ultimo centro, «creando un lago di grandi dimensioni». Il progetto vecchio di mezzo secolo è stato rilanciato di recente dall’amministratore delegato di acqua Sant’Anna Alberto Bertone (che ha sede poco più a monte a Vinadio), causando una nuova levata di scudi dei sindaci di Moiola e Gaiola allagati dal bacino, secondo loro ormai inattuale e progettato su un terreno inadeguato. Una questione delicata su cui Selleri non esita a esporsi: «I 230 milioni di metri cubi d’acqua di capienza del progetto potrebbero essere utilizzati per integrare le carenze idriche critiche fra Cherasco e Bra e nelle aree irrigate dai consorzi che attingono al Maira». A distribuire le acque, dalla diga, prosegue, «dovevano essere due canali, uno avrebbe dovuto immettersi nel Tanaro, l’altro nel Po, integrando le portate di tutti i consorzi senza ricorrere a pompe, grazie all’effetto della sola forza di gravità».

L’ultimo studio di fattibilità, commissionato dai consorzi irrigui e presentato nel 2004, è stato bocciato dagli abitanti dei due centri coinvolti, anche perché vedrebbe una rivoluzione nel tratto interessato della valle Stura, con lo stravolgimento degli equilibri ambientali e lo spostamento di strade e paesi.

Le ultime considerazioni Selleri le riserva al progetto del lago di Serra degli ulivi a Pianfei, da poco finanziato con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, «ma collocato in un’area eccessivamente periferica per risolvere i problemi dell’agricoltura cuneese: con il suo apporto il bacino integrerà le portate dell’areale Monregalese, circa tremila ettari coltivati su oltre 150mila. Peraltro l’acqua nel bacino non arriverà da sola ma sarà necessario portarla con una condotta».

Bealera maestra attinge a Entracque

Un’isola felice, nel panorama desolato delle campagne cuneesi: lo sono i dodicimila ettari del comprensorio irriguo Destra Stura, serviti dal consorzio di secondo grado Bealera maestra. Alla guida di questa realtà, con una giurisdizione estesa da Castelletto Stura fino a Narzole, Cherasco e Lequio Tanaro, è il sindaco di Bene Vagienna, Claudio Ambrogio: la sua comunità, infatti, acquistò, nel 1471 da quella di Cuneo, la facoltà di portare, con i canali, le acque dei fiumi Gesso e Stura, quaranta chilometri più a valle, dalla presa di borgata Tetto lupo.

«Abbiamo risorse sufficienti ai nostri bisogni: anche gli agricoltori hanno fatto la loro parte privilegiando, con i flussi disponibili, le colture da portare a termine, come il mais, a discapito dei prati», spiega il sindaco. A fare la differenza è il progetto Vallegesso: «Lo avviò il mio predecessore Sergio Gazzera, durante i miei mandati ho avuto modo di ultimarlo». L’iniziativa permette, con un sistema di chiuse, e canali e l’accordo con i comprensori irrigui della valle Vermenagna e dell’area di Borgo San Dalmazzo, di immettere le acque rilasciate dalla diga della Piastra, il bacino costruito dall’Enel a Entracque (nella foto accanto), direttamente nelle canalizzazioni del Bealera maestra.

«Possiamo disporre di circa 2.500 litri al secondo, in tutto circa tredici milioni di metri cubi nell’intera stagione irrigua». Un meccanismo virtuoso adattato in corso d’opera per tamponare gli effetti dell’assenza precoce di piogge: «Assieme alle consorterie dell’area di Cuneo abbiamo chiesto un disciplinare per anticipare i rilasci, possibili, altrimenti, solo dal 1° luglio. Nonostante la penuria di neve la diga del Chiotas (il bacino superiore del sistema idroelettrico di Entracque) è piena». La differenza fra i sistemi agrari ha facilitato l’intesa: «In pianura il periodo critico per i campi coincide con il mese di luglio, gli areali delle valli Gesso e Vermenagna vivono il loro picco, con i frutteti, solo alla fine del mese».

Razionalizzare i consumi è il passo successivo; per farlo, il consorzio realizzerà, a partire dall’autunno, un’opera destinata a rivoluzionare le pratiche irrigue nella Granda: l’immissione delle acque distribuite dal Bealera maestra in un condotta forzata sotterranea che le condurrà in pressione nei campi (con la possibilità di adottare sistemi di aspersione a getto localizzati), sfruttando al contempo il dislivello per produrre energia idroelettrica con una serie di centraline. «Abbiamo ottenuto i finanziamenti per tutta la tratta, sino a Bene Vagienna, e in questo modo calcoliamo di risparmiare il 50 per cento della risorsa, evitando sprechi». L’importo del progetto, da ultimare in sette lotti, supera i 150 milioni di euro.

Con Stura e Mellea in secca, il canale Naviglio spende 70mila euro per pompare acqua dai pozzi

Siccità: in 10 Comuni del Novarese chiusura notturna degli acquedotti
La confluenza tra Gesso e Stura a Cuneo

Problemi mastodontici e poche soluzioni: bastano poche parole per condensare lo stato d’animo di Giacomo Farinasso, da sessant’anni responsabile tecnico del consorzio irriguo canale Naviglio, l’ente che garantisce ai contadini del Braidese gli approvvigionamenti per i loro campi; o sarebbe meglio dire garantiva, perché da più di un mese la siccità, riducendo le portate di Maira e Stura, ha fatto scemare le risorse disponibili.

«Oggi, a fronte di una concessione che ci permetterebbe di ottenere 1.300 litri al secondo, ne abbiamo disponibili appena 150: dal 1962, anno in cui ho iniziato a lavorare, non ricordo di aver affrontato un’emergenza di questa portata». I turni di irrigazione, della durata, in condizioni normali, di 28 giorni, si sono estesi: «Impieghiamo 56 giorni per portare l’acqua in tutti campi», prosegue Farinasso. Le opere di presa, che sono ubicate nel Comune di Castelletto Stura e in quello di Centallo, in località Trunasse, dipendono dalle portate del fiume Stura e dalla consorteria Mellea-Grana; quest’ultimo torrente, però, «è secco da più di un mese». I due rami del canale si congiungono nei pressi di Fossano e adacquano i campi di Cervere, prima di arrivare nelle aree coltivate sotto la Zizzola.

L’ultima risorsa, per irrigare i cinquemila ettari coltivati solo nel territorio di Bra e i settecento sottoposti amministrativamente a Cherasco, sono i pozzi: «Ne abbiamo sei distribuiti in tutto il comprensorio», prosegue il responsabile tecnico del canale Naviglio, «il problema quest’anno sono i costi dell’elettricità (che alimenta le pompe usate per sollevare l’acqua dalle falde): credo arriveremo a 70mila euro di bollette, di questo passo ci bruciamo il capitale». Ad acuire le difficoltà la scelta, operata da molti agricoltori, di seminare mais (una coltura molto esigente), «perché con la crisi alimentare i ricavi potrebbero essere più elevati».

L’opzione di progettare riserve dove stoccare l’acqua, in previsione di analoghe difficoltà future, non viene scartata a priori da Farinasso: «La conformazione morfologica del nostro comprensorio la rende difficile, con un po’ di inventiva potremo scovare qualche area idonea, il problema è disporre delle risorse idriche per riempirle, noi siamo i penultimi a ricevere le acque dai fiumi». Secondo il tecnico, infatti, «gli invasi vanno realizzati in montagna, dove la risorsa è presente, certo poi occorrerà anche predisporre dei canali per trasportarla, non si può pensare di utilizzare, a questo scopo, i corsi d’acqua».

L’argomento non è nuovo nemmeno sotto la Zizzola: «Il mio studio brulica di pagine di giornali attaccate al muro: ho raccolto tutte quelle dedicate all’argomento dighe. Nel 1989, l’avvocato Olivero, presidente del canale Naviglio, aveva sintetizzato in un documento le nostre esigenze, le stesse delle quali si parla anche ora. Poi è sempre arrivata la pioggia e ci si è dimenticati di tutto quanto».

Davide Gallesio

Banner Gazzetta d'Alba