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La società dei robot è già realtà (VIDEO)

La società dei robot è già realtà (VIDEO)
Renato Grimaldi

INDUSTRIA 4.0 Le macchine sono sempre più parte integrante della nostra vita, perciò serve educare i ragazzi a un rapporto virtuoso e collaborativo con esse. Questo il tema al centro della presentazione del volume La società dei robot (Mondadori) alla Tosa group di Santo Stefano Belbo, organizzata con la fondazione Pavese. Il libro, curato dal professore Renato Grimaldi del dipartimento di filosofia e scienze dell’educazione dell’Università di Torino, fotografa il presente e il futuro della robotica.

Grimaldi, viviamo davvero in una società di robot?

«Certo, pensiamo agli automi industriali che costruiscono e verniciano automobili, fino a quelli che puliscono la polvere del pavimento delle nostre case. La stessa lavatrice è un robot con sensori che leggono valori di temperatura e altri parametri utili attuando funzioni che i nostri nonni svolgevano a mano con grande dispendio di tempo e fatica. Le macchine sono sempre più interconnesse e interagiscono con noi».

Quali funzioni possono svolgere nella quotidianità?

«Abbiamo accennato ai robot che puliscono i nostri pavimenti o alla lavatrice, ma ce ne sono altri che ci aiutano in cucina o rasano il prato davanti a casa. Ma se ne stanno affermando altri che ci aiuteranno nella quotidianità. Penso ai social robot, che possono avere anche sembianze vagamente umane, e fornire informazioni, funzionare anche come badanti, assicurandosi che si siano prese le medicine e magari avvertendo il medico o i familiari se alcuni parametri vitali dell’umano dovessero assumere valori critici. Il fatto che il robot abbia un corpo e quindi possibilità di afferrare oggetti e di spostarsi nello spazio, consente al robot stesso di portare medicine, prendere pasti dal frigorifero: attività che servizi come Alexa, utili per tanti motivi, non possono supportare».

Le macchine sostituiranno l’uomo nella manodopera? Se sì è bene o male?

«La tecnologia ha da tempo lavorato per alleviare il lavoro degli uomini. Pensiamo alle campagne delle Langhe prima dell’avvento dei trattori e altre attrezzature agricole di recente generazione. I robot continueranno in questa direzione, ma si stanno “evolvendo” anche nella direzione di cobot, ovvero collaborano con le persone, siano essi operai, tecnici, ma anche insegnanti, medici, infermieri o assistenti sociali. In alcuni casi sostituiscono la manodopera, in altri svolgono funzioni specialistiche quando non esiste oppure può essere utilmente indirizzata verso altre attività. Possono svolgere operazioni pericolose o rischiose per la salute degli umani. Credo che nessuno di noi che utilizza il servizio Telepass per entrare o uscire da un’autostrada rimpianga la presenza della persona che consegna o riceva il ticket facendo pagare il pedaggio. L’importante è avere un sistema educativo capace di indirizzare e formare i lavoratori verso attività dove sia rilevante la presenza di un umano. E per disporre di fondi per queste attività formative e di riconversione alcuni economisti dicono che occorrerebbe “far pagare le tasse ai robot”».

Quali problemi etici si profilano?

«Ce ne sono molti. Pensiamo alle auto con guida autonoma che si stanno affacciando sul mercato. In caso di incidente chi sarà il responsabile? La casa costruttrice? Il proprietario dell’auto? Chi ha costruito il software di navigazione? E poi: la mamma che consegna il figlio all’auto perché venga accompagnato a scuola, si aspetta che abbia come priorità la salute di quel bambino o in un caso critico potrebbe “sacrificarlo” per salvare magari altri tre bambini che attraversano la strada all’improvviso? Sono domande importanti cui non è semplice dare risposte e ci stanno lavorando filosofi e studiosi di tutto il mondo».

 Lorenzo Germano

Comau vuol fare gemmare i suoi laboratori formativi

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Ezio Fregnan (Comau)

Si dice che una vettura su tre in circolazione sia stata prodotta da macchine della Comau. L’azienda torinese del gruppo Stellantis, ma fin dalla fondazione negli anni Settanta a disposizione del mercato, è leader nel settore automotive fornendo soluzioni di robotica per i principali produttori di automobili, compresa Tesla.

Al centro degli interessi di Comau, che all’incontro da Tosa ha mostrato un innovativo esoscheletro che permette agli operai di reggere pesi senza sforzo, c’è il tema della formazione per il quale è stata formata l’Academy. Ezio Fregnan, direttore della struttura, racconta: «Tramite le nostre attività abbiamo coinvolto più di ventimila persone dal 2018 a oggi. Tra queste, diecimila sono ragazzi di elementari e medie, ottomila delle superiori e duemila sono studenti universitari e adulti: nessuno di questi è nostro dipendente».

L’obiettivo è quello di contribuire a diffondere la cultura Stem (espressione inglese che sta per scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) e aiutare l’approccio verso la tecnologia dei giovani.

Anche nell’Albese potrebbe esserci presto un E.do learning center, come quelli già creati alla fondazione Dalmine di Bergamo, o all’istituto Corni di Modena (realizzato con Ferrari). Spiega Fregnan: «Veniamo dalla Torino dei santi sociali, nell’800 e nel ‘900 sono stati usati teatro, musica e sport per educare i giovani. Noi abbiamo sviluppato un robot che si chiama E.do, capace di farli appassionare, che ci permette non solo di insegnare robotica ma anche di favorire l’apprendimento delle materie Stem, oltre alla cultura del lavoro e soft skills».

Per il futuro delle imprese serve ripensare ad aziende e mestieri in un’ottica di collaborazione, non di sostituzione, tra uomini e macchine, perciò Comau ha creato un tassello professionalizzante tra le sue attività formative: «Abbiamo dislocato un po’ in tutta Italia, insieme alle agenzie del lavoro, alcuni professional training center per formare programmatori, manutentori, esperti di cobotica e saldatura robotizzata. Nuovi mestieri e percorsi professionali in cui è importante che l’ecosistema formativo collabori per costruire le competenze richieste».

Il desiderio di Comau è che questi laboratori possano trovare spazio anche qui: «Vogliamo far gemmare queste iniziative anche nella vostra straordinaria terra di vino, di cucina e di cultura», conclude Fregnan. 

l.g.

Confezionamento prodotti: Tosa progetta sistemi gestiti a computer

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Da sinistra appaiono: Stefano Pesce (Comau), Fabio Tosa, Renato Grimaldi, Serena Tosa ed Eliana Faccenda (Confindustria Cuneo).

In quarant’anni di attività, la Tosa group, nata a Cossano Belbo grazie al fondatore Beppe, ha vissuto in prima linea il cambiamento del settore meccanico. Il gruppo, che ora ha sede nell’area industriale di Santo Stefano ed è diretto dai figli Fabio e Serena, vanta 110 dipendenti, tre marchi (Tosa, Mimi e Cmr) impegnati nella costruzione di macchinari automatici del settore packaging e diecimila pezzi venduti.

Con l’amministratrice delegata Serena Tosa abbiamo tracciato un quadro dell’evoluzione dell’attività: «Negli anni Settanta, le macchine erano meccaniche, oggi sono automatiche, elettriche e gestite da software: per esempio, abbiamo un brevetto per la bobina in automatico che permette di fermare la macchina ogni trenta secondi sostituendosi all’operatore, che altrimenti dovrebbe reggere pesi rischiosi. Ora quella fase è automatizzata e sicura». Anche dal punto di vista amministrativo è cambiato tutto: «L’ufficio tecnico progetta in 3d, mentre ai tempi disegnava tutto a mano con un tecnigrafo su fogli di carta lucida: non si poteva sbagliare nulla e ogni disegno era a sé stante. In amministrazione, dove facevano le fatture con la carta copiativa, ora è tutto automatizzato». Cambiamenti che non tolgono lavoro, ma lo agevolano e permettono operazioni più complesse: «Il magazzino era fatto con scaffali, ora ce ne sono 4 verticali automatici: il computer invia la richiesta di materiale direttamente al magazzino, l’operatore attraverso il file lo seleziona dal cassetto e prende il materiale. L’automazione ha permesso di focalizzarsi sul reale valore aggiunto».

I manutentori meccanici e i montatori elettrici hanno a disposizione dei tablet (24 in produzione) su cui, prima d’iniziare il montaggio della macchina, guardano i disegni, controllano i materiali in tempo reale e organizzano al meglio la loro attività.  l.g.

Con le linee automatizzate finisce la catena di montaggio

Da negozietto di elletroforniture all’Industria 4.0 e Robotica: dal 1924 il gruppo Giordano si occupa di impianti, stando al passo con i tempi. Luigi porta avanti la tradizione: il suo gruppo – 200 dipendenti e altrettanti terzisti fra Boves, l’Inghilterra e la South Carolina (negli Stati Uniti) – progetta e installa impianti hi-tech: fra i suoi clienti ci sono realtà come Ferrero, Michelin e Bottero. «Ci serviamo di tre specializzazioni: meccanica, elettrotecnica e informatica, per realizzare linee di automazione e robotica, talvolta partendo semplicemente da necessità produttive dei clienti e spazi disponibili».

I sistemi progettati sono in grado di svolgere operazioni delicate come «disporre su un pallet qualsiasi tipo di prodotto: dalle lattine alle pastiglie dei freni», spiega l’imprenditore. Ci sono anche «isole robotizzate per agevolare alcune fasi di lavorazione, per esempio il controllo prodotti». L’approccio delle aziende all’automazione non è motivato, come si potrebbe pensare, dal taglio della manodopera, «spesso è l’esatto opposto: sarebbe molto meno oneroso, per loro, investire in personale, specie delocalizzando in Paesi con un basso costo del lavoro. La molla è, spesso, il miglioramento qualitativo del prodotto, l’ottimizzazione dei processi e della sicurezza».

Il mutamento coinvolge anche la manodopera: «Da anni ormai non si cercano più gli operai da catena di montaggio. Gli addetti devono essere capaci di usare i sistemi per controllare le operazioni». Ogni prodotto è una sperimentazione «progettato, installato e testato da noi»; fanno eccezione le componenti robotiche, «acquistate da grandi case di produzione attive nel settore», e armonizzate nell’impianto.  

Davide Gallesio

Biscotti e dolci cuneesi si fanno con gli automi

Codici matematici complessi e robot: c’è un cuore hi-tech dietro alcuni dei più noti prodotti dolciari che, dal Cuneese, nei decenni, si sono diffusi raggiungendo il mondo intero.

Gli imprenditori Giovanni Battaglino e Marco Bellini hanno intrapreso la via dell’automazione nell’ormai lontano 1982: periti elettronici, oggi dirigono uno dei gruppi più quotati della Granda nella realizzazione di linee robotizzate.

«Quando abbiamo iniziato, il costo di automazione sul totale degli impianti si aggirava attorno al 10 per cento, oggi si arriva a punte del 30 o 40», spiegano. «Dai pistoni ad aria, diffusi nei decenni passati, si è passati ad assi robotici capaci di eseguire 230 tagli al minuto, realizzando barrette di cioccolato da 3 centimetri».

Allo stesso modo i biscotti di famosi marchi locali non possono più fare a meno del contributo di linee completamente computerizzate, capaci di gestire le pesate degli ingredienti e la fase di impastatura. Ultimata la cottura il prodotto passa attraverso macchine che eseguono la fase di confezionamento con robot: una singola linea riesce a consegnare per la spedizione diverse decine di tir al giorno di prodotto».

Il gruppo, che conta una cinquantina di dipendenti, ha sede a Grinzane Cavour e costruisce unicamente prototipi in base alle esigenze dei clienti: «I sistemi richiesti non esistono, noi li creiamo. Ogni progetto richiede almeno 6 mesi di lavoro», prosegue Battaglino.
L’installazione negli stabilimenti è solo l’ultima fase di un processo di ideazione che pone al centro il software, cioè l’insieme dei comandi necessari a far marciare a regime decine di macchine connesse con collegamenti elettrici. «Ogni programma ha alla sua base calcoli matematici estremamente complessi. La costruzione della parte meccanica dei robot è semplicissima: la parte più delicata è il software». Oltre alla gestione autonoma delle operazioni, «le macchine installate riescono a raccogliere dati così da controllare la produzione, i consumi, ed elaborare statistiche per la gestione della manutenzione preventiva e predittiva».

I costi di questi sistemi sono elevati: «Si parte da 200 o 300mila euro per oltrepassare i cinque milioni», precisa Battaglino, ma oggi il mondo dell’automazione offre soluzioni alla portata di tutti. «I cobot (cioè i robot collaborativi, che cooperano con addetti in carne e ossa, nda) e i robot antropomorfi sono acquistabili con poche decine di migliaia di euro, la chiave per il funzionamento è sempre il programma informatico». d.g.

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