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Abitare il piemontese: la parola della settimana è Fërleca: ferita, sfregio, taglio, cicatrice

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ABITARE IL PIEMONTESE Qualche settimana fa mi trovavo a Bossolasco, in alta Langa, dove un caro amico mi ha suggerito una parola da approfondire: fërleca. Dice che è stata nominata durante una serata di canti popolari e a un certo punto quella parola ha destato interesse, tanto da creare discussione attorno al suo suono e alla sua possibile origine. Anche questa è la virtù di una lingua: creare confronto e convivialità. Il significato di fërleca è d’immediata traduzione, significa ferita. Quando succede di farsi del male dove il corpo venga ferito, si dice chiaramente son fame na bela fërleca (mi sono fatto un bel taglio con la conseguente cicatrice). Alcuni intendono anche un dispetto: combiné cheiche fërleche, significa realizzare qualche monelleria, tra cui un piccolo furto. Non ultimo significa anche bella ragazza: per denotare un apprezzamento non troppo poetico rivolto a una ragazza, esiste infatti l’esclamazione che fërleca! (metafora a libera interpretazione).

Nel tempo abbiamo enunciato diverse origini di varie parole. Sappiamo che tra le tante, alcuni sostantivi piemontesi sono di origine germanica, perlopiù di contesto bellico. Questa ‘influenza’ linguistica non è certamente da ricondursi all’ultimo secolo, bensì più probabilmente alle invasioni barbariche. Nella fattispecie, fërleca è una voce considerata di etimo discusso e incerto. C’è chi sostiene la provenienza dal sostantivo germanico verletzung (ferita) o dal verbo verletzen (ferire). Il Repertorio etimologico piemontese suggerisce che potrebbe essere inutile fantasticare se esiste in latino classico ferula, dalla doppia e comprensibile accezione: con la prima s’intende una pianta dallo stelo dritto e nodoso, mentre con la seconda una sferza o comunque un oggetto per colpire. Tra le numerose voci va ricordato il provenzale antico ferlo (bastone pastorale) e il francese ferule (una paletta di legno o cuoio utilizzata un tempo per colpire sulle mani gli studenti più indisciplinati).

Paolo Tibaldi

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