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Abitare il piemontese: la parola della settimana è Lëccia

Carta da gioco di scarso valore; oggetto mal funzionante; giudizio rivolto a persona inefficiente, incapace.

Abitare il piemontese: la parola della settimana è Lëccia

ABITARE IL PIEMONTESE Il gioco delle carte è un’attività che ha rapito attenzione, tempo e troppo spesso denaro della civiltà piemontese. Le osterie sono state luogo di ritrovi serali e notturni, di bische proverbiali, degne dei più spietati film western. Possono dirsi pressoché infinite le varietà di giochi alle carte in Piemonte: da Màȓca o ré (detto anche Licarté Ecarté) al gioco della Bassëtta, dai Cavallini alla Scala 40. Ce n’è uno che mi ha affascina, forse per le leggende che cela. Si tratta di un gioco chiamato Vapoȓin, conosciuto anche come Chemin de fer o Baccarà o Gioco del nove, ma i più incalliti lo conoscevano come Vaporin. Risale almeno al secolo scorso. Due carte a testa, vince chi fa il punteggio più alto: se il banco vince, continua a tenere il banco, se il banco perde, il banco passa a destra. Ecco perché si chiama Chemin de fer, ferrovia. È un gioco veloce, come è altrettanto rapido vincere o perdere la scommessa.

Tutto questo prologo per annunciare che la parola di oggi, lëccia, è prima di tutto una carta da gioco di basso valore, pressoché inutile. Soltanto successivamente acquisisce il significato metaforico di oggetto mal funzionante o, peggio ancora, persona incapace e di poco valore. Per qualcuno si tratta anche di una figurina al gioco delle piastrelle. L’etimo è discusso e il Repertorio etimologico piemontese la dichiara tuttora aperto: potrebbe trattarsi di una voce arrivata dal francese antico e moderno lèche (piccolo pezzo, per lo più riferito al pane) o dall’occitano leicho; si suppone una derivazione dal latino medievale liscam, giunco, a sua volta dal gotico liska, con slittamento semantico per indicare “piccola pianta” e quindi “piccolo pezzo” di qualsiasi cosa. A differenza di altre espressioni di autocommiserazione, è raro definirsi lëccia; è piuttosto una parola pronunciata da chi è deluso dalla poca laboriosità di qualcuno, che si sentirà esclamare sospirando: «Et sèi na lëccia (sei buono o buona a nulla)».

Paolo Tibaldi

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