Abitare il piemontese: la parola della settimana è aso (prununcia: asu)

Asino, animale e simbolo di dileggio popolare dai tempi più antichi.

Abitare il piemontese: la parola della settimana è Possacafé 21

ABITARE IL PIEMONTESE Se un anno fa parlammo del bue, animale del presepe che rappresenta lavoro agricolo e forza, questa volta è il turno dell’asino, ambasciatore di umiltà e pace. In piemontese si chiama semplicemente aso (pronuncia: asu), sinonimo di boȓicc; il femminile è sòma. Ciò che interessa di più, però, è la sua funzione, anche linguistica: munito di pazienza e resistenza, è il più antico mezzo logistico per gli umani: da Tirin a Moncalé tuti j’aso van a pé (da Torino a Moncalieri, tutti gli asini vanno a piedi).

Nonostante sia uno degli animali più intelligenti, chi mostra scarse doti intellettuali è detto aso o asnàss. Fra i mezzi repressivi scolastici vi era la “pedagogia della vergogna” con il banch dȓ’aso (il banco dell’asino o del biasimo), talvolta con la scritta io sono un asino: un banco appartato per favorire la derisione e far sentire il povero alunno davvero fuori dalla normalità. Chi non ha testa mette gambe e sarà forse destinato a faticare come l’animale di trasporto di chi non poteva permettersi il cavallo.

L’asino è cocciuto e qualunque ramanzina risulta inutile. Ne venne fuori il modo di dire o r’è peid laveje ȓa testa a n’àso (è come lavare la testa all’asino): tempo e acqua saranno sprecati. Quando poi l’interlocutore si ostina in una concentrazione: pèid dije bela fia a n’àso, (come dire “bella ragazza” a un asino). Se invece una bevanda risulta sgradevole? A va bin a lavé ‘ȓ gambe a j’àso (va bene per lavare le gambe agli asini).

Taca ȓ’aso ndoa ch’o veu ‘ȓ padȓon e s’o së scòrtia, tant pes pëȓ chiel (attacca l’asino dove vuole il padrone e se si scortica, peggio per lui) è sinonimo di obbedienza, anche quando l’ordine non pare ottimale; ën mancansa ‘d cavàj, foma core j’àso (in mancanza di cavalli, facciamo correre gli asini) si dice quando un subordinato è costretto a svolgere un lavoro spettante a un superiore; ȓ’àso ‘d ponta (l’asino di punta) oppure dëȓ cumun (del Comune) è la persona che più fatica, a cui tutti affidano lavori: un povero cireneo. N’àso carià ‘d sòd è un villano arricchito: l’animo resta comunque rozzo. In fatto di cattive maniere si dice anche avèj ëȓ deuit ëd n’aso a plé ij bëscheuit – avere il tatto di un asino a sbucciare castagne lesse.

Fè peid ȓ’àso d’o topiné (fare come l’asino del venditore di pignatte) è detto di chi sosta ad ogni porta: il topiné con il suo asino fermavano in tutte le case per vendere e ascoltare i pettegolezzi. Avèj pì vissi che ȓ’àso ‘d Gonela: Pietro Gonella fu giullare di corte nel Trecento; nelle novelle del Sacchetti sono descritte le cattive, ma comiche, abitudini del suo povero asino, tra i più celebri e coccolati. Descute dȓ’ombra dȓ’aso (discutere dell’ombra dell’asino) è, invece, sinonimo di discussioni futili e sciocche, riferito a un episodio accaduto all’oratore greco Demostene. Questi stava trattando una causa importante, ma i giudici non prestavano ascolto; per attirare la loro attenzione raccontò l’episodio di una lite per la proprietà sull’ombra di un asino ed essi si mostrarono ben disposti ad ascoltarlo. Il grande oratore rispose loro: «Volete sentire la storia dell’ombra dell’asino, ma non vi interessate al processo di un uomo, che sta correndo il rischio della pena capitale»?

Fomȓe e aso quandi ch’ës vogo, ës bàso (donne e asini, quando si vedono si baciano): la bellezza giovanile è detta blessa dr’àso, assonante con il francese la beauté de l’age (la bellezza dell’età). Conn crin, n’aso e ‘n can, t’hai fàcc ȓa feȓa a Dian! La famosa fiera autunnale di Diano d’Alba può dirsi avviata dal momento che sono presenti i tre animali del territorio: un maiale (cibo), un asino (lavoro) e un cane (tartufi). Ad Alba vi è la corsa ogni prima domenica di ottobre: ‘vuolsi con questo Palio, da correre con gli asini, restituire beffa agli astesi che l’anno 1275 fecero scorno al nostro Comune, correndo il Palio fuori delle civiche mura’. L’artista Pinot Gallizio ebbe l’intuizione vincente di sostituire i cavalli con gli asini per canzonare gli astigiani.

J’àso ‘d Cavour: i-i è gnun ch’e-i lauda, ës laudo da lor (gli asini di Cavour, non lodandoli nessuno, si lodano da soli), sono persone autoreferenziali e ostentatamente piene di sé. Quando non si sa apprezzare quel che si ha o non si trova qualcosa sotto agli occhi, si suol dire: seȓché r’àso e essie a caval (cercare l’asino ed essergli a cavallo). E la sera, stanch peid n’àso prima di andare a letto? Andoma a cogé ȓ’àso (andiamo a coricare l’asino). Tra modi di dire e proverbi piemontesi che coinvolgono gli animali, l’asino sbanca per quantità e fantasia in quanto oggetto, purtroppo per lui, di dileggio popolare dai tempi più antichi. A lui chiediamo perdono, così come faccio io con i lettori per la ponderosità di una ricerca appassionante.

Paolo Tibaldi

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