All’ospedale di Verduno occorrono 36 ore per avere un posto

Una mattina in corsia nel pronto soccorso dell’ospedale Ferrero 1
Il direttore Massimo Perotto del Pronto soccorso di Verduno

IL REPORTAGE I pronto soccorso piemontesi, come quelli di tutta Italia, sono da settimane al centro di una bufera. L’ennesima, a dire il vero. Questa volta a mettere a rischio la tenuta del sistema non è tanto il Covid-19, la cui circolazione sembra essere in una fase discendente, ma sembrano esserci l’influenza e le sindromi respiratorie legate al freddo alla base dell’impennata di accessi, che si sommano alla normale attività del reparto d’urgenza. Si tratta di una tendenza che si ripete ogni inverno, fatta eccezione per il periodo del lockdown, che ha allontanato in modo drastico le persone dagli ospedali.

Puntualmente l’inverno acuisce un meccanismo costretto a fare i conti con più di un problema. Uno su tutti, la carenza di medici e di personale sanitario, che rende difficile gestire numeri di pazienti superiori alla media. E se si vedono ancora in modo poco chiaro i risultati delle politiche della Regione Piemonte, che ha messo in atto un vero e proprio piano per i pronto soccorso, ormai è evidente come l’intero sistema sanità fatichi a funzionare: si va dalla carenza di posti letto in ospedale alle lacune presenti nella medicina territoriale, a sua volta sovraccarica e interessata dallo stesso problema della mancanza di professionisti.

Ore in corsia

Gazzetta d’Alba è tornata al pronto soccorso dell’ospedale Ferrero giovedì scorso, poco prima di mezzogiorno. È il primo giro di boa della giornata, superato il picco di accessi del mattino, mentre la seconda ondata tende ad arrivare verso le 18. La sala d’aspetto non è del tutto piena, ma i numeri sono già elevati: dagli schermi appesi alle pareti, che indicano l’avanzamento della situazione in tempo reale, con un codice assegnato a ogni paziente, si legge che sono 54 le persone registrate, di cui 9 in attesa di essere prese in carico.

In coda alla macchinetta del caffè, c’è il marito di una paziente. Parla al telefono: «Siamo qui da più di tre ore: mia moglie è entrata da poco e speriamo sia la volta buona, ma non credo torneremo a casa a breve. Sono tutti molto gentili, ma bisogna armarsi di pazienza», sta spiegando a qualcuno.

Avanti e indietro

Una donna cammina avanti e indietro: «Che giornata assurda», ripete tra sé. Accompagna un uomo che doveva essere operato la mattina, ma si è ritrovato in pronto soccorso per problemi di salute diversi. «Che cosa dobbiamo fare?», chiede all’impiegata. Una volta registrato, l’uomo viene accompagnato nella sala d’attesa. C’è anche una paziente che continua ad andare e tornare da un altro reparto del Ferrero. A quanto pare, è emersa qualche difficoltà con un esame che le è stato prescritto e i sanitari continuano a rimandarla in pronto soccorso. Alla fine, dopo una telefonata, forse con il proprio medico, viene chiamata a entrare. Nel frattempo, le persone si sommano; ci sono alcuni ragazzini che vengono registrati e mandati al pronto soccorso del reparto pediatrico.

Troppi tagli

Due volontarie della fondazione Ospedale Alba-Bra, che fanno parte del progetto di accoglienza lanciato mesi fa, mangiano un panino in piedi, mentre continuano a fornire indicazioni ai nuovi arrivati. «Pensavo che questo fosse l’orario migliore per parlare, ma oggi è andata così», esordisce Massimo Perotto, il direttore del pronto soccorso, quando ci accoglie, in ritardo rispetto all’orario previsto. «Avevo diverse visite da concludere: non tutte le giornate sono uguali». Il suo ufficio è in un corridoio laterale, adiacente al pronto soccorso vero e proprio. «Qual è la situazione? Come al solito, ci scontriamo con gli effetti di politiche che hanno impoverito gli ospedali e con meccanismi difficili da risolvere. In questo momento siamo nel picco delle patologie invernali, con molti pazienti che si presentano con un quadro di insufficienza respiratoria e che necessitano di essere ricoverati, soprattutto tra gli anziani. Negli anni la sanità nazionale ha tagliato enormemente i posti e la sfida di ogni giorno per noi è trovare un letto a chi necessita di ricovero, mentre gli altri reparti ospedalieri sono sovraffollati».

Pronto soccorso

Il limbo boarding

Il risultato è una media di dieci persone al giorno nei letti del pronto soccorso, in attesa di collocazione. L’attesa va da uno a tre giorni, ma è difficile dirlo con certezza. C’è persino chi nel frattempo può essere dimesso, ancora prima di accedere al reparto assegnato. È stato persino coniato un nome per questa sorta di limbo: il boarding. Dopo i lavori dei mesi scorsi, al Ferrero è stata creata un’area specifica per questi pazienti: non ci sono barelle nei corridoi e situazioni precarie, ma letti, con tendine che separano ogni postazione e garantiscono un minimo di privacy.

«Dal punto di vista del comfort la situazione è migliorata ed è decorosa, ma i pazienti del boarding si trovano in un reparto in cui non dovrebbero essere e nel quale l’assistenza che ricevono non è quella di cui avrebbero bisogno», ammette Perotto. Monitorare e seguire un minimo di dieci pazienti in più, per una macchina già sovraccarica come il pronto soccorso, è un ulteriore peso che si aggiunge. Soprattutto a fronte del numero di accessi che, ormai da mesi, sta registrando il Ferrero.

150 al giorno

«Contiamo una media di 150 accessi al giorno: il 27 dicembre, dopo la chiusura degli studi dei medici di famiglia per le festività, abbiamo registrato 216 persone. E il 9 gennaio, dopo l’Epifania, siamo arrivati a 185», spiega Perotto. Sono numeri da grande ospedale, «non troppo diversi da quelli che mandano in crisi i pronto soccorso torinesi». Nel 2021, al Ferrero sono stati registrati in totale 42mila accessi. Nel 2022, sono stati 53mila, 10mila in più. Il direttore: «Il nostro bacino è ampio ed è positivo che l’ospedale venga visto come un punto di riferimento, ma ci sono diversi fattori di cui non possiamo non tenere conto. In primo luogo i pazienti sanno che, in pronto soccorso, troveranno le risposte che fanno più fatica a ottenere dalla medicina territoriale. La nostra è una porta sempre aperta, a ogni ora, senza appuntamento. E tutti saranno visitati, senza esclusioni». Il 40 per cento degli accessi rientrano tra i codici verdi e i bianchi, cioè non si tratta di reali urgenze.

No ai gettonisti

«Abbiamo avviato un ambulatorio specifico per i codici bianchi, ma i numeri sono elevati e l’attesa c’è, mentre gli arancioni e i rossi vengono presi in carico direttamente. Certo, se non avessimo anche il peso del boarding, riusciremmo a smaltire più velocemente», ammette ancora Perotto. Tutti i medici in pronto soccorso svolgono prestazioni aggiuntive, cioè ore in più rispetto al previsto. A differenza di altre strutture, a Verduno è stata presa la decisione di non ricorrere a “gettonisti”, medici privati di cooperative specializzate. «Vogliamo garantire la continuità e puntare sulla formazione. Un po’ di ossigeno arriverà nel 2023, con tre neospecializzati. Si tratta di una novità importante, perché di solito i bandi andavano a vuoto: in totale, a fine anno, saremo una squadra di 16 medici, un numero molto più soddisfacente». Mentre parla, il direttore ci accompagna nelle diverse aree del reparto. La situazione è ordinata, anche se ogni angolo è occupato. «Avere ampi spazi e un ospedale nuovo aiuta parecchio», afferma.

Direttore generale

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Massimo Veglio

Tra chi monitora ogni giorno i numeri del pronto soccorso c’è il direttore generale Massimo Veglio: «A Verduno avremmo gli spazi necessari per aggiungere posti letto, ma ci manca il personale. La medicina interna, che da mesi è il reparto più sovraccarico, ha 73 letti e 85 pazienti: abbiamo creato un piccolo reparto di supporto in altre aree. In nefrologia non abbiamo posti liberi, così come in neurologia e in cardiologia. Si attendono nuove dimissioni, per assegnare un letto a chi si trova in attesa di ricovero».

Un discorso diverso riguarda le emergenze, che non rientrano in questo calcolo. In Piemonte, sul tema dei posti letto, si parla sempre di più della possibilità di ricorrere al privato convenzionato. Sul nostro territorio, l’unica realtà di questo tipo è la clinica Città di Bra. Dice Veglio: «Al momento non è contemplata questa possibilità, che non garantisce un apporto determinante sul fronte dello smaltimento degli interventi chirurgici. Il privato teoricamente potrebbe rivestire un importante ruolo di supporto, ma la programmazione risulta difficile. Ogni intervento o prestazione svolta per l’Asl è utile, ma le cifre non sono risolutive nel nostro caso».

Ed è così che il pubblico rimane da solo nella bufera, con conseguenze che ricadono sui cittadini in difficoltà.

Francesca Pinaffo

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