Siamo capaci di motivare e comunicare la nostra fede?

Siamo capaci di motivare e comunicare la nostra fede?
Lo Spirito Santo, in un affresco bizantino (1662). Cattedrale ortodossa di San Giovanni a Nicosia.

PENSIERO PER DOMENICA – SESTA DI PASQUA – 14 MAGGIO

La sesta di Pasqua sembra una domenica interlocutoria, in attesa delle solennità – Ascensione e Pentecoste – preannunciate dal Vangelo. Può essere anche l’occasione propizia per riflettere sulla figura della mamma, nella festa a lei dedicata. Siamo ancora nel tempo pasquale e le letture bibliche della Messa ci offrono tre mosse precise su come annunciare Gesù risorto.

La prima mossa è suggerita da Pietro: «Pronti sempre a rendere ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). L’evangelizzazione comincia con la testimonianza di uno stile di vita diverso, di una vita piena, ricca di senso e di valore. Oggi, nella società della stanchezza, in cui si contano i “morti per disperazione” c’è bisogno di un messaggio del genere. In fondo è la testimonianza propria delle mamme: per mettere al mondo un figlio ci vuole fede nella vita. Ma la testimonianza silenziosa non basta: all’occorrenza, si deve saper motivare la propria fede, spiegando perché il Vangelo rende la vita più piena e quali sono le ragioni della nostra speranza. Essenziale anche l’indicazione metodologica: «Tutto questo sia fatto con dolcezza e rispetto».

Poi, l’annuncio esplicito di Cristo. Qui l’esempio viene da Filippo, protagonista del brano degli Atti degli Apostoli proposto come prima lettura (At 8,5-8.14-17). Filippo era un laico, uno dei sette diaconi che a Gerusalemme doveva curare l’equa distribuzione del cibo nella comunità. Fuggito da Gerusalemme dopo il martirio di Stefano, giunge in Samaria e comincia ad annunciare il Vangelo di Gesù proprio a quei Samaritani che lo avevano rifiutato. Evangelizzare è parlare di Gesù, trasmettere il suo Vangelo, perché solo chi lo conosce può trarre da esso quella spinta alla vita e alla speranza di cui ha parlato Pietro.

L’ultimo passo è il dono dello Spirito, il pubblico riconoscimento dell’ingresso nella comunità. I Samaritani evangelizzati da Filippo, avevano già ricevuto da lui il battesimo. Pietro e Giovanni vengono inviati dalla comunità di Gerusalemme a pregare per loro, invocando lo Spirito, per rendere in qualche modo ufficiale la loro appartenenza alla comunità. Nel Vangelo ci viene ricordato quanto sia prezioso il dono dello Spirito, il Consolatore, ma soprattutto lo «Spirito della verità che il mondo non può ricevere». Chi crede in Cristo ha “una marcia in più” per camminare nella vita: non un privilegio di cui inorgoglirsi, ma un impegno alla testimonianza. Questo è lo stile di Dio: ogni dono va condiviso. Anche la fede e la speranza.

Lidia e Battista Galvagno

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