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Canelli, lo scrittore Marino Magliani presenta “Il bambino e le isole” (INTERVISTA)

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Marino Magliani

CANELLI Domenica 18 giugno, alle 17, nella sala Enzo Aliberti della biblioteca Monticone di Canelli, ci sarà un gradito ritorno: lo scrittore Marino Magliani presenterà Il bambino e le isole (editore 66thand2nd). Il libro, definito nell’intervista che segue «il romanzo della mia vita», nasce dal sogno di Italo Calvino di raccontare una storia dove un bambino, persa la palla oltre la ferrovia, si mette in cammino per recuperarla senza attraversare i binari.

Il racconto scaturito dall’immaginazione dell’autore ligure (candidato lo scorso anno al premio Strega con Il cannocchiale del tenente Dumont) rappresenta in realtà un omaggio alla letteratura, non solo nella persona dell’intellettuale sanremese di cui quest’anno si celebra il centenario della nascita, ma anche a figure come Walter Benjamin, Carlo Levi e Francesco Biamonti, oltre a diventare una lettera d’amore alla terra d’origine, vero fil rouge della sua produzione letteraria.

Magliani, dopo un romanzo storico come Il cannocchiale di Dumont, cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?

«È un libro molto diverso, a partire dalla quota, dal punto di vista. Mentre con Il cannocchiale del tenente Dumont avevamo una visione verticale come quasi tutta quella dei miei romanzi, qua ne abbiamo una orizzontale, qui abbiamo un personaggio che cammina lungo i binari e attraversa la Liguria a una quota che sta tra i 50 e i 70 metri sopra il livello del mare, è una novità per me, ma credo anche per un racconto ligure».

Il bambino e le isole di Magliani

L’ispirazione per la storia viene dal centenario di Calvino?

«Il centenario è un suo motivo: noi liguri, anzi noi lettori italiani, abbiamo un grande legame con questo scrittore. Mi trovavo in America e ho scoperto che il nostro grande autore è proprio Calvino, ma anche in una considerazione planetaria (insieme a Borges). L’evento scatenante è stata però la lettura di alcune dichiarazioni di un suo amico di infanzia Duilio Cossu, che sostiene che da ragazzini parlavano dei loro progetti letterari e Calvino avrebbe voluto scrivere la storia di un bambino che perde il pallone, giocando in un caruggio la palla finisce oltre i binari, per recuperarla e non attraversare i binari va a cercarne la fine. Questa cosa era stata raccontata negli anni ’60 e poi alla morte dello scrittore negli anni ’80, ma mi sono stupito che nessuno l’avesse mai sfruttata».

Ha proseguito con una ricerca storica su Calvino o è una storia di fiction?

«Mi sono lasciato prendere totalmente dall’immaginazione spaziando a girotondo sulla città di Sanremo. So perfettamente che negli anni 30 ci ha vissuto per tre soggiorni Walter Benjamin perché frequentava la città dove la ex moglie aveva una pensione e ho messo insieme l’amicizia con Carlo Levi. Un altro elemento di fauna, che è quasi biologico, è la lucertola ocellata che vive a Sanremo e nelle isole Baleari dove Benjamin ha terminato la sua vita. Poi Calvino indicava cose ben precise: che il bambino si avventura lungo i binari e trova delle valli umbertose, fantastiche, cioè mondi da Cosmicomiche, ma io non sono un autore che ama quell’ambientazione fantastica, né capace di seguire quelle coordinate. Quindi ho cercato di afferrarmi alla Liguria senza costruire una mappatura ben precisa».

Nelle sue opere c’è sempre la Liguria, che visione diversa ne ha dato questa volta?

«Sono uno scrittore ligure anche se vivo una parte abbondante dell’anno in Olanda, non volevo dare una descrizione diversa ma ne sono stato costretto scegliendo quell’ambientazione, non potevo descrivere una ferrovia a saliscendi a luna park, dovevo descrivere quella. Ho dovuto accettare la sfida e le rotte segnate da Calvino. Peraltro però avevo voglia di terminare con questa Liguria verticale alla Biamonti, questa serie di colline è come venisse tagliata e venisse popolata da isole, fluttuanti e fantastiche. Un’altra visione che viene da Benjamin e va cercata nei racconti di Carlo Levi che appaiono nel romanzo, non ho voluto sono stato costretto per scrivere la storia che Calvino non è mai riuscito a scrivere».

Che cosa ha apprezzato di più di Calvino da lettore?

«Sono figlio di contadini, come Calvino, malgrado suo padre e sua madre fossero botanici, ma di fondo amavano la terra e sporcarsene le mani. Ha tracciato per me un destino dello scrittore figlio di Calvino, cioè quel senso di colpa di cui parlava molto bene nella Strada di San Giovanni, in cui il padre contadino chiede di seguirlo in campagna al figlio ma quello se ne va alla spiaggia: è un po’ quello che è successo a me, perciò lo sento molto vicino, anche perchè è lo scrittore che meglio di tutti ha parlato della Liguria con una voce ironica. Sento molto vicino il Calvino meno cerebrale, non quello dei racconti fantastici».

Con Canelli e le colline piemontesi ha invece qualche affinità?

«Per me Fenoglio dopo Calvino è il più grande narratore italiano, mentre a Pavese ho dedicato una sceneggiatura di una graphic novel: quindi le colline senza mare sono per me molto importanti. Ma non solo per gli scrittori del passato, perché apprezzo anche autori più recenti come Marco Drago».

Come definirebbe questo libro nella sua produzione?

«È il libro della mia vita, non aggiungo altro».

Quindi è l’ultimo?

(Magliani ride): «Credo di avere altre storie, spero di smentirmi se mi rifarà la stessa domanda tra due anni»

Un’ultima battuta: un commento sull’esperienza allo Strega e sull’edizione 2023?

«Non ho seguito molto, ma uno si presta al gioco e poi deve starci: l’anno scorso mi sono presentato, mi hanno fatto entrare in dozzina e poi basta. Non è che se uno va al casino va in escandescenza perché ha puntato sul 18 rosso e non è uscito. L’esperienza è stata positiva, mi sono divertito e ho visto posti molto belli, questo posso raccontare».

Lorenzo Germano

 

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