Y., che da sempre è invisibile

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LA STORIA «LItalia non è come mi aspettavo, ma è meglio di altri Paesi in cui ho vissuto». Fa strano associare la parola “meglio” alla storia di un uomo poco più che trentenne, che ha conosciuto solo il peggio: lo sfruttamento lavorativo, la violenza, il dormire per strada, la solitudine. Ma per Y., uno dei lavoratori delle vigne accolti dal Centro di prima accoglienza albese della Caritas, è davvero così. Questa è la sua storia, da quando ha lasciato il Ghana dieci anni fa, attraversando il mare nella speranza di trovare qualcosa di migliore. Nelle prossime settimane, vi racconteremo altre storie di chi condivide lo stesso presente. Perché forse, per spiegare il fenomeno che si è delineato sulle colline Unesco, bisogna partire dalle persone.

Y., per esempio, non ha idea del valore delle vigne. Non sa che, grazie al suo contributo, i nostri vini finiranno nel mondo. Come molti altri, la terra per lui ha solo un significato: fatica. Quando è arrivato in Italia ha iniziato a lavorare come bracciante: prima la Puglia, poi la Calabria e la Campania, a raccogliere pomodori, arance, frutta, sempre senza contratto né garanzie.

«Ho lasciato il Ghana, il mio Paese, perché è un luogo senza speranze, distrutto da una classe politica che lascia le persone in estrema povertà. Me ne sono andato per cercare lavoro, così da aiutare la mia famiglia: quando sono partito, mio figlio aveva pochi anni. Ora ne ha quindici e non l’ho più rivisto, nemmeno una volta», dice. «Sono stato a Rosarno e a Foggia, dove ho lavorato in condizioni drammatiche».

Poi, Y. si è spostato a Saluzzo, per la raccolta della frutta. Ad Alba è arrivato la prima volta a gennaio, sempre tramite il passaparola. Sono pochi i braccianti che si spostano per iniziativa personale; la maggior parte di loro, tramite conoscenti, viene intercettata da intermediari, le pseudocooperative che forniscono manodopera alle aziende. «L’amico che mi aveva detto di spostarmi ad Alba mi ha accompagnato alla stazione dei treni: qui ho incontrato il suo “padrone”, che stava cercando persone per i lavori in vigna. Ho iniziato saltuariamente, perché a febbraio non c’era molto lavoro. Ho chiesto di essere pagato ogni settimana. Dopo la prima settimana ho ricevuto sei euro all’ora, sempre in nero».

Intanto Y. ha conosciuto un italiano, titolare di un’attività ricettiva, che lo ha “assunto” per sgomberare locali. «Ho lavorato dieci ore al giorno: dopo la prima settimana, sempre senza contratto, mi è stato detto che avrei ricevuto 25 euro al giorno, 2 euro e mezzo all’ora. Ho protestato, senza ottenere risultati. Così, dopo una settimana ho preso i miei 150 euro e me ne sono andato». Negli ultimi mesi, Y. ha vissuto per un lungo periodo per strada, alla stazione dei treni, perché non aveva alternativa. Poi ha trovato una soluzione al coperto, in un vecchio magazzino abbandonato. «Quando se ne sono accorti, i proprietari lo hanno chiuso», dice. Il Tanaro si è rivelato l’unica soluzione, la sponda che accoglie tutti. «Ho avuto la sensazione di essere invisibile. Una volta sono stato anche controllato dalla Polizia, ma nessuno si è informato sulle mie condizioni. Un amico mi ha accompagnato alla Caritas, in via Pola, dove posso lavarmi e mangiare ogni giorno».

Francesca Pinaffo

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