Festival di Venezia: al Lido sbarcano anche la tenerezza e l’attenzione per il prossimo

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VENEZIA Torna a Venezia, dopo essere stato nel 2017 nella giuria, il regista messicano Michel Franco col suo film in concorso Memory, nel quale racconta ancora una volta una storia intima di incontri e cambiamenti inaspettati. Il film è un dramma girato a New York, Sylvia è un’assistente sociale, con una vita semplice e organizzata tra la figlia, il lavoro, le riunioni degli alcolisti anonimi. Tutto va in pezzi quando Saul l’accompagna a casa dopo una riunione tra ex compagni di scuola: l’incontro inaspettato sconvolgerà entrambi, perché apriranno la porta al passato.

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Come tutti i film del regista hanno il compito di suscitare certe conversazioni e che in questo caso ha dichiarato di aver voluto girare «un film sulle persone che, per un qualsiasi motivo, si perdono nelle maglie della società. La loro incapacità, o riluttanza, a conformarsi alle aspettative è spesso radicata in fatti che esistono soltanto nei loro ricordi. A volte però è la marginalizzazione stessa a offrire una via di fuga dalle ombre del passato, una possibilità di costruire una vita nel presente», e Memory si chiede se sia davvero possibile fuggire da tali ombre.

Una storia originale, per la quale non ha cercato ispirazione altrove, come tiene a sottolineare lo stesso regista, confermando un interesse particolare per le persone condannate a sentirsi fuori posto, come accaduto a lui stesso, e confessando la grande ammirazione per le persone che «dedicano la propria vita ad aiutare il prossimo. Li si dà per scontati, sono spesso invisibili. Piuttosto dobbiamo cercare di capirli. Fanno qualcosa di anomalo nella nostra società, dove tutti fanno l’opposto».

Con questo film sbarca al Lido la tenerezza e l’attenzione per il prossimo e la delicatezza col quale vengono affrontati i drammi vissuti nel passato della propria vita con la forza dell’incontro e l’amore.

Esplorare gli aspetti più profondi dell’animo umano

La vicenda di un amore ritrovato è alla base del film francese in concorso Hors-saison (Fuori stagione) del regista Stéphane Brizé, nel quale i bravissimi Guillaume Canet e Alba Rohrwacher interpretano la coppia formata da Mathieu e Alice che si ritrova per caso in una stazione termale anni dopo la separazione. Mathieu vive a Parigi, Alice in una piccola località di mare nella Francia occidentale. Lui è un famoso attore in procinto di compiere cinquant’anni, lei un’insegnante di piano sulla quarantina. Innamorati quindici anni fa, successivamente separati. Il tempo è passato. Ciascuno ha preso la propria strada e le ferite si sono lentamente rimarginate.

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Quando Mathieu va in una spa per cercare di superare la malinconia che lo attanaglia, si imbatte in Alice. Un dramma intimo che Brizé sceglie di usare come genere per esplorare gli aspetti più profondi dell’animo umano, interrogandosi sulle scelte, sbagliate o mai prese, della vita.

«Avevo già realizzato diversi film che affrontavano i devastanti meccanismi finanziari delle multinazionali, quando è sopravvenuto il Covid. Quell’esperienza di isolamento ha obbligato tutti noi a mettere in pausa le attività. In quanto individui che esistono in gran parte attraverso la propria funzione sociale, probabilmente siamo stati tutti profondamente scossi dalla sconcertante precarietà dell’esistenza. I miei personaggi riflettono quel momento di vertigine. Un uomo e una donna arrivano alla logica conclusione delle decisioni che hanno preso quando si sono separati quindici anni prima. Volevo soffermarmi sul momento in cui si rimugina sulle scelte mai fatte, o fatte in modo sbagliato, sugli incontri mancati o sprecati, sulle porte mai aperte, sugli appuntamenti mancati, sui momenti della vita in cui abbiamo deciso di imboccare una strada invece di un’altra», dichiara in un’intervista il regista. Domande segrete e ossessionanti che ci poniamo tutti, potenti o meno, conosciuti o sconosciuti, uomini e donne.

Nella Kiev degli anni Novanta

Ambientata nella Kiev degli anni Novanta, la vicenda di Forever-forever nella sezione Orizzonti di Anna Buryachkova è un altro scavo nella memoria, con protagonisti alcuni adolescenti intrappolati tra le macerie dell’impero sovietico.

«Il film è una canzone d’amore per gli adolescenti della fine degli anni Novanta», dichiara la regista, «ai quali è stata data questa regola: se nessuno ti ama, non sopravvivrai. Alla ricerca di amore e legittimazione negli occhi di qualcun altro, siamo vissuti scendendo a compromessi su abusi e ingiustizie pur di ricevere attenzione. Essere adolescente vuol dire che ogni attimo dell’esistenza è soltanto qui e adesso, vale a dire per sempre. Ogni amore è per sempre, ogni rapporto è per sempre, ogni dramma è per sempre».

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Dopo essersi trasferita da una scuola del centro, Tonia, alla ricerca di protezione e di un posto che possa sentire suo, entra a far parte di una banda di giovani problematici. Passano il tempo insieme, girando per le periferie post-socialiste di Kiev, divertendosi e cacciandosi nei guai. Presto Tonia si innamora di Zhurik, ma prova qualcosa anche per Sania, finendo intrappolata in un triangolo amoroso segreto e seducente. Ma il suo passato di abusi la perseguita e mette a repentaglio le nuove amicizie e la nuova storia d’amore. Riuscirà a trovare il modo di uscirne o si perderà in questa nuova, controversa relazione?

Alla conclusione dell’intervista, Buryachkova invita gli adulti «a crescere e capire che l’unica legittimazione e l’unico amore necessari sono i nostri. Capirlo richiede di accettare la solitudine e caricarsi sulle spalle la responsabilità della propria vita». Adolescenti che sono dovuti crescere in fretta a causa delle circostanze, ma che nel mondo degli adulti si sono persi. Una storia che dovremmo tenere sempre a mente, perché alcune cose esistono solo nel momento, mentre altre durano per sempre.

Walter Colombo, inviato a Venezia

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