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Gianfranco Jannuzzo porta in scena al Teatro Sociale l’ironia italiana

Lunedì 16, al Giorgio Busca, la presentazione della stagione teatrale sarà accompagnata da uno spettacolo offerto alla cittadinanza

Gianfranco Jannuzzo porta in scena al Sociale l’ironia italiana
L'attore Jannuzzo con Gigi Proietti

TEATRO Si avvicina la presentazione della stagione del teatro sociale Giorgio Busca. Per il secondo anno la conferenza stampa sarà seguita da uno spettacolo offerto alla cittadinanza. L’appuntamento è per lunedì 16 ottobre, alle 20.30. Per partecipare occorre prenotare sul sito Internet teatrosocialebusca.eventbrite.com. Nell’occasione, insieme all’assessora alla cultura Carlotta Boffa, ci sarà l’attore Gianfranco Jannuzzo con lo spettacolo Recital.

La presentazione «si concluderà con un calice di vino per brindare e con la speranza che i partecipanti tornino a sedersi sulle poltrone del Busca», commenta Boffa. La stagione prenderà il via martedì 5 dicembre. Il programma completo con tutte le informazioni sugli spettacoli sarà presente nel prossimo numero di Gazzetta.

Gianfranco Jannuzzo, nato ad Agrigento nel 1954, si è formato al Laboratorio di esercitazioni sceniche di Roma, diretto da Gigi Proietti. All’attivo ha numerose partecipazioni in spettacoli teatrali, varietà televisivi e film.

Lunedì 16, in circa un’ora e mezza, «proporrò uno spettacolo che potrebbe intitolarsi Il meglio di…», spiega Jannuzzo, «porto i miei cavalli di battaglia e i temi che più mi stanno a cuore, parlando con ironia e a tutto tondo, dell’Italia e degli italiani. Avendo girato tutta la Penisola, conosco la ricchezza dei dialetti e quanto gli italiani siano meravigliosi. Non dimentichiamo il nostro passato, fatto di emigrazione, fenomeno che esiste un po’ dappertutto, da sempre. Lo dico conoscendo e vedendo da vicino la situazione di Lampedusa».

Qual è la caratteristica che apprezza di più degli italiani?

«Il forte sentimento di amicizia e lealtà, unito alla capacità di ridere di tutto e di tutti. Soprattutto di sé stessi. Durante lo spettacolo toccherò le corde che devono renderci orgogliosi di essere italiani. I nostri dialetti dovrebbero essere insegnati e tramandati a scuola. Nel siciliano, per esempio, ci sono dai francesismi ai grecismi. Nonostante le differenze abbiamo tenuto una identità di popolo straordinaria. Dietro l’inno di Mameli ci sono i nostri avi, che persero la vita per realizzare un sogno».

Un esempio sulle differenze legate all’ironia?

«Riporterò alcuni passaggi sui funerali. Ironizzerò sul fatto che i settentrionali quasi se ne fregano, mentre noi meridionali viviamo la tragedia. Dai vestiti neri delle donne, agli ulivi contorti e attorcigliati, qualche teatro greco in mezzo alle case, il tragico è rappresentato ovunque».

Che momento sta vivendo il teatro in Italia?

«Un momento di grande entusiasmo e ripresa dopo la pandemia, ci mancava molto il contatto con il pubblico. Il teatro è il luogo di aggregazione per antonomasia, un sogno che si ripete da migliaia di anni. Nel nostro Paese ci sono teatri unici. Il Giorgio Busca è uno di questi: la doppia sala, storica e moderna, è meravigliosa».

Lei è anche autore del libro fotografico Gente mia.

«Sono appassionato di fotografia e la pubblicazione è una grande soddisfazione. Tra la gente mia è possibile riconoscere la gente di tutta Italia. Sull’argomento avevo proposto lo spettacolo Girgenti amore mio: credo che ognuno possa sentirlo suo sostituendo il nome della città. Cerco semplicemente di far ridere il pubblico».

Per quest’ultimo aspetto ha influito il suo maestro Gigi Proietti?

«Studiare e lavorare con lui, l’attore italiano più eclettico, è equivalso ad andare all’Università dello spettacolo. Altro mio maestro è stato Gino Bramieri. Lo spazio per la barzelletta e il siparietto è quasi scomparso dalla televisione, manca un Walter Chiari. Trovo che l’offerta si sia impoverita, l’intrattenimento è delegato ad alcuni giornalisti e si basa su temi politici».

Davide Barile

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