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Alessandra è stata più forte della violenza

Alessandra, più forte della violenza

VIOLENZA DI GENERE Non esistono parole giuste per rendere l’idea della violenza. Le ferite si annidano nel profondo, dopo mesi e anni da quando tutto è finito. Gli occhi di Alessandra le esprimono senza filtro quelle ferite. Ha 26 anni, vive nell’Albese e nessuno potrebbe immaginare ciò che ha subito per oltre un anno, tra l’estate del 2020 e la fine del 2021. «Quando racconto il mio passato, tutti dicono: “Mai avrei pensato a te come a una vittima”», spiega Alessandra, sorridendo. «Non è stato facile, ma sono tornata a essere me stessa. Per esempio, un po’ di tempo fa, ho realizzato un dettaglio in apparenza insignificante: ero in centro, ad Alba, e camminavo a testa alta, guardandomi intorno, come tutti. Un anno fa tenevo la testa bassa: ero una donna annientata».

La incontriamo nello studio della sua avvocata, Silvia Calzolaro: se la ricorda bene quella ragazza arrivata terrorizzata, imprigionata dal dolore, dagli abusi, dalle umiliazioni subite dal suo ex compagno. Lui oggi è in carcere, con una condanna in primo grado a diciotto anni e sei mesi: violenza sessuale aggravata, stalking, maltrattamenti e lesioni.

«Parlarne mi fa più male rispetto a un anno fa. Ma mi dico che quanto ho vissuto fa parte di me e di chi sono diventata». Alessandra nel suo racconto utilizza un’immagine per parlare della violenza: «Un vortice, che ti risucchia e ti porta a fondo. Non riesci a uscirne, diventi impotente». Tutto è cominciato da un incontro, per via di un’amicizia comune, con un ragazzo. «Sembrava tutto normale, come quando nasce una storia. Per assurdo, tra le cose che mi sono piaciute di lui, è stato il senso di protezione che mi trasmetteva, perché dava l’idea di una persona forte. La gelosia si è palesata quasi subito, ma in un primo momento non ha destato in me particolari preoccupazioni. Mi dicevo che era fatto così e sarebbe cambiato con il tempo».

Alessandra, più forte della violenza 1L’8 marzo del 2020 l’Italia si chiude nel primo lockdown. Alessandra: «In quel periodo, vivevo da sola ad Alba. Avevo il mio lavoro, le mie amicizie, la mia indipendenza. Quando lui si è trasferito da me, è cambiato tutto. La gelosia è stato il primo segnale: ha iniziato a diventare esasperante. Quando ero sola in casa, mi chiedeva di mandargli foto comprovanti che non ci fosse qualche ragazzo con me, nascosto sotto il letto o sul balcone. Reagiva in modo spropositato ogni volta che avevo contatti con qualche amica, mi controllava in modo ossessivo e cercava di instillare dubbi su ogni persona che mi circondava, per creare il vuoto attorno a me». La giovane, isolata nel suo appartamento, subisce così i primi schiaffi e spintoni. «Come si reagisce alla violenza? Ricordo che, quando mi picchiava e mi umiliava in tutti i modi possibili, mi sentivo uscire dal mio corpo: mi guardavo dall’esterno, perché quella ragazza non ero io. Era una bambola di pezza, immobile, inanimata, che aspettava che finisse».

Perché gli schiaffi erano solo l’inizio e giorno dopo giorno le botte diventavano più pesanti. «Ho pensato di farla finita io stessa, per quanto ero distrutta. Ricordo un episodio, molto violento. A terra, piena di dolori e ferite, vedevo una sola immagine: mia madre. Pensavo che non l’avrei più rivista».

Nonostante tutto, Alessandra riesce a rialzarsi ogni volta e, tra una chiusura e l’altra per via della pandemia, è puntuale al lavoro, il suo unico contatto con il mondo esterno. Indossa un bendaggio per settimane, per nascondere l’occhio livido, ma rassicura tutti dicendo di avere contratto un’infezione. Quando i vicini di casa chiamano i Carabinieri per via delle urla, dal momento che tutti nel palazzo avevano compreso la situazione, è lui a scendere al piano terreno per assicurare che non ci sono problemi. Quando finisce al pronto soccorso, dopo un pestaggio ancora più violento degli altri, è sempre lui a dare spiegazioni. Alessandra cerca di scappare più di una volta, per raggiungere la sua famiglia in un paese vicino, ma in quel periodo non si poteva circolare, per via del lockdown. Viene fermata in auto dal controllo stradale e costretta a tornare indietro, con una multa sul sedile. Non fa parola del suo calvario, nemmeno con sua madre. «Avevo una paura enorme. Non riuscivo a parlarne, figuriamoci a denunciare. Mi dicevo: se dico tutto ai Carabinieri, che cosa mi farà quando tornerò a casa? Avevo paura anche per la mia famiglia, perché parliamo di una persona fuori controllo. Mi sentivo abbandonata, condannata a subire».

Poi, la ragazza trova un nuovo lavoro, che la riporta a contatto con il mondo, come in una sorta di risveglio: «L’ho lasciato e mi sono trasferita». Così sono iniziati stalking, persecuzioni, minacce e violenze verbali. «Andavo dai Carabinieri quasi ogni giorno, ma non volevo denunciare, perché avevo ancora molta paura». Quando l’ex dai domiciliari finisce in carcere per aver violato il divieto di aggregazioni in casa durante la pandemia, Alessandra inizia a raccontare. Sapendolo lontano, denuncia. L’avvocata Calzolaro la invita a scrivere tutto. Il maresciallo Claudio Grosso, della Compagnia dei Carabinieri di Alba, è al suo fianco e mette insieme gli elementi per affrontare il processo. La violenza sessuale è l’ultima a emergere: porterà l’uomo a una condanna a oltre diciotto anni in primo grado.

Il processo è un altro capitolo, risolutivo e doloroso. «Ho dovuto raccontare, nei più piccoli dettagli, ogni episodio. Anche di fronte a lui. Sono stati momenti molto difficili. Nonostante tutto, sono andata avanti, perché mi stavo riappropriando della mia vita. Sembra assurdo, ma mi chiedevo che cosa avessi sbagliato, come avessi potuto arrivare a quel punto. Ho sentito parlare migliaia di volte della violenza contro le donne, ma non è bastato. Pensiamo sempre non possa capitare a noi».

Per questo, anche se le fa male, Alessandra continua a parlare: «Per altre donne che si trovano nella mia stessa situazione, perché spero che le mie parole possano aiutarle a uscirne». Che cosa direbbe, oggi, alla ragazza che subiva le botte? «La prenderei per mano e le direi di restare serena, perché ce la farà. E, poi, le direi che non lo merita. No, non si merita tutto quel dolore».

Francesca Pinaffo

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