Filippo Martina e i discendenti, fotografi di Alba

ALBA Quattro generazioni e un secolo e mezzo di immagini ottenute grazie alla luce su carta spalmata da un’emulsione al nitrato d’argento: ad Alba se si parla di fotografia si devono ripercorrere le vicende della famiglia Martina. Si può partire da una fotografia, che fa parte dell’archivio di Enrico Necade: è lo sferisterio Mermet, il tempio della pallapugno ancora in via Diaz, un tempo chiamata via degli Spalti di Ponente. Fu scattata nella seconda metà dell’Ottocento, quando il campo dello sport che più appassionava le Langhe fu costruito su progetto di Giorgio Busca.

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Lo sferisterio di Alba a metà Ottcento, potrebbe essere la prima testimonianza fotografica della città

Si vede la struttura originaria, il porticato a sette arcate, l’edificio chiaro, la scalinata. Le quadrette in campo e sui gradini centinaia di persone in posa, la maggior parte uomini, ma anche qualche donna. Alcuni hanno in testa vistosi cilindri neri, con sopra un foglietto bianco, all’epoca delle scommesse utilizzato per scrivere gli importi.

L’autore è Filippo Martina. Secondo Franco Negro, trisnipote ed erede nell’arte fotografica, «potrebbe essere la prima testimonianza fotografica di Alba. Di certo, da ciò che sappiamo, il mio trisavolo nel 1868 era già in attività, come testimonia la data impressa su un portanegativi giunto fino a noi. Ma altri documenti sono datati 1857, undici anni prima». Fu Filippo il fondatore della Premiata ditta foto Martina, il cui primo studio si trovava in via Rattazzi. «Dalle informazioni tramandate in famiglia, iniziò ad avvicinarsi al mondo della fotografia nelle Guerre d’indipendenza. La prassi era di fotografare i campi di battaglia come testimonianza per l’esercito».

La famiglia di Filippo era originaria di Cravanzana. Uno dei suoi fratelli era il colonnello Paolo Domenico Martina. Monforte a quest’ultimo ha dedicato un museo: figura militare di rilievo del Risorgimento, Paolo Domenico fu appassionato anche di pittura e agricoltura, tanto da fondare la scuola di agraria che rimase aperta in paese fino al 1954. Il fratello prese una strada diversa: «A quanto pare, prima dell’apertura dello studio ad Alba, si muoveva in zona come fotografo ambulante, come dimostrerebbe anche l’immagine allo sferisterio». Di certo la passione per l’allora nuova arte in lui era così forte da trasmetterla ai due figli: Matilde e Domenico.

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Una squadra di liceali fotografata negli anni Venti

Matilde, nata nel 1856 e morta nel 1932, fu «senza dubbio una delle primissime fotografe della provincia, in un’epoca in cui per le donne non era comune seguire questa professione». Fu lei a spostare lo studio da via Rattazzi alla più centrale via Coppa, a due passi dal duomo, nello storico palazzo al numero 6.

Franco spiega che «in quell’epoca si facevano soprattutto ritratti di famiglia, di matrimoni, di momenti importanti, come quando un figlio partiva per il servizio militare. Farsi immortalare da un fotografo era un momento indimenticabile, per molte persone unico in tutta la vita. Per quanto riguarda gli aspetti tecnici, dopo il periodo del dagherrotipo (fotografia su rame, ndr), ai tempi di Matilde si stampava già su carta». E si scattava solo di giorno, perché nello studio non c’erano le luci per la notte. In parallelo, anche il fratello Domenico divenne fotografo: prima si trasferì a Parigi per imparare meglio la tecnica e poi tornò ad Alba, dove aprì un suo studio. «Si firmava sulle foto “Martini” o “Domenico Martina and company”, per distinguersi dalla sorella».

Se si prosegue nella storia, fu Matilde a trasmettere il gene della fotografia: dal matrimonio con Carlo Albesiano, nel 1888 nacque Giuseppe, che fino al 1955 esercitò l’attività di fotografo in via Coppa.

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Franco Negro, ultimo fotografo della dinastia dei Martina

Morì nel 1963, era il nonno di Franco Negro: «Senza dubbio è stato il più dotato dal punto di vista fotografico. La sua specialità erano i ritratti, ma non solo. Era in grado, in modo naturale, di costruire la composizione dello scatto. Utilizzava una Rolleiflex che conservo ancora. Si lanciò anche in esperimenti, come alcuni fotomontaggi molto interessanti per l’epoca. È stato per me una figura fondamentale».

Negro si ricorda lo studio che Giuseppe Albesiano aveva ereditato dalla madre: «Era uno scrigno, in cui il tempo si era fermato. C’erano i fondali per i ritratti. Alcuni erano particolari: per esempio, uno sfondo rappresentava una grande barca. Visto che all’epoca si scattava con tempi molto lunghi, esistevano anche specifici poggiatesta, per aiutare le persone a rimanere immobili. Sulla via non c’erano insegne: quando arrivavano i clienti, mia nonna Giuseppina Parusso apriva la porta e li accoglieva. Dava anche una mano a mio nonno per sviluppare le lastre: era un processo lungo e bisognava restare con le mani nell’acqua fredda per parecchio tempo». Giuseppina, insieme alla figlia Matilde, si occupava anche di un altro aspetto: il ritocco. Perché allora le foto, una volta stampate, venivano ritoccate a mano, per migliorarle. Una tecnica che cambiò molto nel corso di pochi anni. Così Giuseppe Albesiano iniziò a cercare un giovane esperto da poter inserire nel suo studio. Fu così che arrivò ad Alba il milanese Pietro Agnelli, padre di Aldo, Enzo e Giorgio, altri fotografi che hanno scritto la storia della città e dei suoi personaggi. Per un certo periodo, Pietro lavorò nello studio Martina, per poi aprire la sua attività, prima in via Mazzini e poi nella centrale via Maestra. La storia prosegue e si arriva ai figli di Giuseppe e Giuseppina, che seguirono altre strade. La mamma di Negro, Matilde per l’appunto, divenne farmacista. Ma, saltata una generazione, si torna alla fotografia. «Per me, è sempre stata un’attitudine naturale. Quando nel 1977 chiesi alla nonna di poter riprendere l’attività di Foto Martina, si mise le mani nei capelli: pensava che, come all’epoca di mio nonno, bisognasse stare per ore con le mani nell’acqua fredda per sviluppare le foto. Le spiegai che la tecnologia era cambiata. Mi diede il suo benestare e aprii la mia prima attività in via Roma». Nel ’78 Franco trasferì lo studio in via Alfieri, dove è rimasto fino alla pensione. «Come fotografo, mi sono sempre considerato uno sperimentatore».

Francesca Pinaffo

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