ABITARE IL PIEMONTESE Quando le cose cominciano ad andare male, un piemontese lo esprime con andé a rabel (andare in rovina), ma se c’è una consolazione possibile è rappresentata dal motto: dòp o rabel, i-i è ‘ncoȓa sempe ȓa maloȓa (dopo la rovina c’è ancora sempre la miseria).
Maloȓa: femminile singolare, descrive l’insieme delle peggiori condizioni, con riferimento ad azioni, imprese, oggetti, strutture, situazioni. Persino del cibo scaduto si dice o ȓ’è ndà ‘n maloȓa. Parola esistente anche in lingua italiana (seppur con una pronuncia leggermente differente dal piemontese) ha una radice inconfondibilmente latina: mala (femminile di malo, cattivo). I significati sono analoghi nelle lingue neolatine: anche in inglese malory significa maledizione.
Esattamente settant’anni fa, nel 1954, usciva il romanzo breve La Malora di Beppe Fenoglio. Il tema principale della narrazione, rappresentativa di un’intera civiltà, è proprio la miseria che mette in ginocchio i personaggi che si avvicendano, cominciando dal protagonista Agostino. Il racconto scritto in italiano e ambientato all’inizio del Secolo scorso in alta Langa, è composto da vari episodi accomunati dalla condizione inesorabile in cui si viveva. In quelle poche devastanti pagine c’è spazio per una storia d’amore.
C’è una parola correlata: il maleuȓ, come scriverebbe Fenoglio stesso, è la sfortuna in favore. Un tempo sulle colline di Langa poteva essere fatale una grandinata o una malattia della campagna per perdere tutto il raccolto: uva, grano, frutta. Così si era costretti a fare San Martìn, ovvero fare le valigie per cercare una speranza altrove. L’abitudine di pensare che tutto sarebbe andato male o perduto per un evento inevitabile, era dilagante. Ecco perché poteva accadere che un contadino perdesse i suoi averi nelle scommesse alle carte o al pallone elastico-.Quella disperazione aleatoria gli faceva pensare che prima o poi quello che aveva gliel’avrebbe portato via qualcos’altro: tanto valeva giocarselo. Sono storie appassionanti e sensazionali da raccontare, ma impietose e disperanti da vivere in prima persona. Soprattutto da dare mai per scontate.
Paolo Tibaldi