ABITARE IL PIEMONTESE Questa settimana parliamo di una parola curiosa che, talvolta, sfocia nell’onomatopea: sghicc. Consultando vari documenti di diverse provenienze piemontesi è appurato che, intorno a questa parola, gravitino significati e traduzioni tutto sommato simili (spruzzare, schizzare); pronome, verbo, talvolta attrezzo (sghicèt) volto comunque alla profusione di liquidi. Certo, se i più maliziosi se lo stanno chiedendo, confermiamo che tutti (ma proprio tutti) i sensi e le declinazioni sono valide. Anzi, può essere che la questione parta proprio da lì.
Una curiosità l’abbiamo carpita da un documento storico. Nel Promptuarium di Michele Vopisco, uscito a Mondovì e risalente al 1564 è scritto: «sghiccio o schizzarello idest cannone donde usce l’acqua per un pertuso». Volendo cercare un’etimologia, il Repertorio etimologico piemontese suggerisce che la famiglia di sinonimi di schissé e derivati proviene da ex+la base onomatopeica gwits, oppure costituisce un insieme di varianti fonetiche da schissé, (da skits, con un’alternanza non infrequente di k/g, fenomeno non tipicamente settentrionale, ma che potrebbe risalire già al latino volgare). Anche il provenzale antico e moderno annovera parole con sonorità e significati affini: esquichà, ghuichà (premere).
In conclusione dobbiamo dire che, dalle parti di Alba e delle colline circostanti, c’è un significato ulteriore, forse parente di quello originario. Noi stessi, da albesi, conoscevamo questa parola con il significato eufemistico di luogo scomodo e angusto. Sghicc non è un complimento ed è difficile da associare a un aggettivo positivo. Si tratta di una parola esaustiva, che non necessita di qualifiche, un nome umiliante, ancora di più quando pronunciato oralmente poiché guarnito da una smorfia disgustata: descrive un locale o una stanza poco accogliente, una dimora scomoda dagli spazi costretti e tutt’altro che funzionali.
Paolo Tibaldi