ALBA Ho avuto la fortuna di conoscere Liliana Segre anni fa, quando percorreva l’Italia per incontrare migliaia di studenti. Da allora siamo diventate amiche nella difesa della “memoria” e nella speranza di un futuro di pace e di condivisione in cui siano riconosciuti i diritti inalienabili delle persone.
Dopo anni di silenzio, a sessant’anni, aveva deciso di raccontare la sua vicenda di sopravvissuta ad Auschwitz dove era stata deportata, quando aveva tredici anni, con suo padre. Sarebbe ritornata da sola, anche i suoi nonni finirono nelle camere a gas. Una decisione che aveva coraggiosamente preso perché le nuove generazioni non dimenticassero volti, voci, storie di milioni di vittime dei lager nazisti, perché non svanissero nell’indifferenza e nell’ignoranza che sta contagiando come una pandemia la società.
Questi incontri si trasformavano sempre in momenti di una comunicazione straordinaria che riusciva a creare una partecipazione commossa e faceva rivivere situazioni e fatti, donne, uomini, bambini, come se fossero lì, in quelle assemblee. Persone che «avevano una sola colpa, quella di essere nati ebrei», come spesso ricorda Liliana.
Al palazzetto dello sport di Bologna , dove più di settemila studenti l’ascoltavano in un silenzio immobile, le sue parole avevano suscitato una commozione che era visibile sui volti: «Voi oggi vedete un’anziana signora dignitosa, importante, ma io ho frugato nei letamai, ho strappato l’osso spolpato alla mia compagna e lei lo ha di nuovo strappato a me, durante “la marcia della morte” sulle strade della Germania. Voi fortunati non sapete che cosa è la fame e spesso sprecate il cibo. Quando siete stanchi, vi arrendete, dite “non ce la faccio più”, mentre la mente e il corpo umano sono così forti e straordinari da poter compiere autentici miracoli. La vita è un bene così meraviglioso e irripetibile da spingerci a fare qualsiasi cosa pur di conservarlo. Non voglio soltanto raccontarvi gli orrori che ho vissuto, voglio raccontarvi la vita che è bellissima».
La sua testimonianza, nelle diverse parti d’Italia, ha idealmente moltiplicato quelle “pietre d’inciampo” che nelle strade delle città ricordano i deportati nei lager nazisti: a Milano, davanti alla casa dove abitava la famiglia, c’è quella che ricorda suo padre Alberto, assassinato ad Auschwitz.
Se oggi migliaia di giovani respingono con forza e determinazione il diffondersi di un antisemitismo inquietante nella sua aggressività e violenza, lo dobbiamo a Liliana Segre che, anche come senatrice, continua la sua battaglia contro l’odio e l’intolleranza, che ha risposto ai recenti insulti e alle minacce sui social con parole di pace. Ha invitato «gli odiatori che augurano a una novantenne la morte», a non sprecare il tempo, «che è un bene prezioso, non si torna mai indietro, neanche di un attimo».
Liliana Segre è diventata oggi per tutti noi “un patrimonio dell’umanità”. Una donna che come testimone, ma anche come madre e nonna, come spesso ama presentarsi ai tanti nipoti ideali, ha deciso di mettersi in gioco senza limiti di tempo e di fatica: «Andrò avanti finché mi reggono le forze perché la memoria deve essere diffusa, è la nostra ricchezza e la nostra difesa».
Grazie Liliana, con te accanto ci sentiamo tutti più coraggiosi e forti, meno orfani di quei valori, significati e riferimenti che, come un giorno mi hai detto, «spesso scompaiono in quella nebbia che, a sorpresa, ti avvolge sull’autostrada e di colpo ti fa perdere la cognizione del tempo e dello spazio, non sai più qual è la direzione giusta».
Mariapia Bonanate,
giornalista di Famiglia Cristiana