Ruanda, 100 giorni, un milione di morti

 A 19 anni esatti dal genocidio ruandese, il centro culturale San Paolo e Gazzetta d’Alba propongono una conferenza dura e dolorosa, ma utile a capire e a risvegliare l’impegno di tutti, affiché certe tragedie non accadano più. Ospiti dell’incontro Ruanda, 100 giorni, un milione di morti, che avrà luogo in sala Fenoglio, venerdì 5 aprile alle 21 saranno la scrittrice Francesca Fabris, l’inviato di Famiglia cristianaa Luciano Scalettari e il regista Alessandro Rocca.

Tre professionisti diversi, uniti dal bisogno di raccontare il dramma e il riscatto, la violazione dei diritti umani e la virtù, la violenza e la rinascita. A moderare il dibattito, al quale parteciperanno Ufficio stranieri, Ufficio della pace e associazione Ampelos e che sarà arricchito dalla proiezione del documentario Rai La lista del console, sarà il giornalista Paolo Rastelli.

Organizzata quale anticipazione degli appuntamenti della Settimana della comunicazione, insieme a Diocesi e Ufficio missionario, la conferenza sarà occasione per conoscere il dramma del genocidio, avviato il 6 aprile ’94, attraverso la testimonianza diretta di chi quei fatti li ha visti, quelle persone ha conosciuto.

L’incontro sarà occasione anche per conoscere la storia di Pierantonio Costa, console onorario italiano che, in quei terribili 100 giorni ha salvato, mettendo in gioco la sua vita e il suo patrimonio personale, oltre 2.000 persone.

Se Scalettari e Rocca si sono rivolti con il libro e il documentario su Costa, a un pubblico di adulti, Francesca Fabris con Dove sei, Anatole? ha guardato ai più piccoli.  A Fabris, che nei prossimi giorni incontrerà anche i ragazzi albesi nelle scuole, grazie ai progetti di Parole a colori, abbiamo chiesto quanto è importante illustrare, anche ai bambini, certe tragedie o enti e personaggi che si sono opposti all’odio. «“Mi riguarda” sono le parole che vorremmo uscissero dalle bocche dei nostri figli. In un mondo globalizzato, il nostro prossimo è anche l’abitante che sta a 7-8000 km di distanza da noi, perché i media ce lo “portano a casa”», ha risposto la scrittrice, continuando, «Il mondo intero è la nostra casa, l’umanità è la famiglia a cui tutti apparteniamo e non possiamo ignorare la sofferenza del nostro fratello. Certo, si tratta di temi duri, violenti e aberranti. Qualche genitore vorrebbe preservare i propri figli dalla conoscenza del male, quando è così crudele. Ma io credo che, con le dovute parole e la dovuta sensibilità, si possa parlare di tutto ai nostri figli, basta farci sentire accanto a loro con il nostro affetto. I nostri figli sono le prime persone capaci di cogliere il senso di empatia che noi adulti proviamo nei confronti dell’umanità più sfortunata e possono imparare molto da questo, attraverso le nostre reazioni parliamo di più ai nostri figli che non con lunghi discorsi e paternali. Perché perdere un’occasione importante per crescere insieme?».

 

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