Carlo Cresto-Dina, l’albese produttore del film Le meraviglie, premio della giuria a Cannes

Carlo Cresto-Dina
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Carlo Cresto-Dina

Le meraviglie di Alice Rohrwacher è il film italiano del momento, campione di incassi nella prima settimana nei cinema, con un’altissima media per sala e vincitore del Gran prix della critica di Cannes, il secondo riconoscimento, dopo la Palma d’oro. Un film che ha in sé un’anima albese essendo prodotto dalla Tempesta film, casa cinematografica fondata nel 2009 da Carlo Cresto-Dina, originario di Alba. Parliamo in esclusiva, con il produttore, che oggi vive in Inghilterra, lontano dalla città del tartufo, ma non ha dimenticato le proprie origini.
 Quando è nata la sua passione per il cinema? Ha qualche aneddoto da raccontare?
«La “colpa” di tutto è di don Franco Gallo e lui lo sa benissimo. Prima ancora di iniziare Il nucleo, prima ancora che esistesse la bella sala Ordet, Franco aveva, non so dove, rimediato un proiettore 16 millimetri portatile. Mettevamo insieme due lire e affittavamo delle pellicole che arrivavano per corriere da Torino. Avevamo 14 forse 15 anni. Ho visto così Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini, tutto Rossellini ma anche Ashby, Fassbinder, Tarkowsky, Brusati, Rosi, Petri. Ricordo perfettamente una domenica sera, tornando a casa da solo, d’inverno con un po’ di nebbia, dopo aver visto insieme a Franco, Mauro Saglietti ed altri Derzu Uzala di Kurosawa. Si apriva un mondo, avevo capito che il cinema parlava a me, alla mia anima.
 Ci racconti Le meraviglie, in uscita in questi giorni anche nell’albese.
«Non è facile: è un film semplice ma molto denso. Racconta l’estate di Gelsomina, che vive in campagna con il padre di origine tedesca, sua madre italiana e le tre sorelle. È un piccolo e strano regno che il padre ha costruito per proteggere la sua famiglia dal mondo “che sta per finire”. È un’estate straordinaria, in cui tutto dovrà cambiare: da una parte l’arrivo nella loro casa di Martin, un ragazzo tedesco in rieducazione, dall’altro l’incursione nel territorio di un concorso televisivo a premi, Il paese delle meraviglie, condotto dalla misteriosa Milly Catena».
Le meraviglie ha vinto il Gran prix, il secondo riconoscimento in ordine d’importanza del Festival di Cannes, si aspettava un risultato del genere?
«Siamo felici e persino “sbacaliti”, ma credevamo fermamente nel valore di questo film. Sinceramente, umilmente, ma senza dubbi. Lavoro con Alice dall’inizio e fin dai primi scambi con lei per il primo film, mi sono reso conto di lavorare con un’autrice importante, che si pone domande rilevanti e centrali sul nostro vivere oggi. Dopo il primo film, Corpo celeste, abbiamo ragionato su diverse idee per il secondo lavoro, ma questa, la storia di Gelsomina, Wolfgang, le api, ci è sembrata subito notevole. Poi la sceneggiatura, riscritta per mesi in quattordici versioni, le otto settimane di riprese condotte con straordinario entusiasmo, cinque mesi di montaggio. Il film cresceva e ci convinceva sempre di più. Quando abbiamo fatto le prime proiezioni private ci siamo anche resi conto che Le meraviglie “arrivava” agli occhi e al cuore delle persone. Poi tutto è successo così in fretta».
 Film come questo sono un’eccezione o la dimostrazione che il cinema italiano ha ancora molto da dire?
«Sono eccezioni che dimostrano che il cinema italiano ha ancora qualcosa da dire».
 Ci parli del suo rapporto con la zona di Alba e dell’albese.
«Sono andato via da Alba che avevo 16 anni. Fu uno strappo anche doloroso ma adesso sono molto contento di essere andato via, aver visto altro, essere uscito dalla nicchia molto confortevole dove tutti ti conoscono e dove non hai più niente da dimostrare. Però anche se ho vissuto tanti anni altrove e vivo a Londra ormai da dieci anni, quando mi chiedono: “Di dove sei?” rispondo sempre: “Di Alba!”. E mi metto a spiegare dov’è e cos’è, anche ai giapponesi. Ho ancora amici ad Alba, come Mauro Saglietti e la sua famiglia e quando vengo vedo sempre Franco Gallo. Senza dubbio essere cresciuto in una città Medaglia d’oro della Resistenza, avere avuto nonni contadini dell’alta Langa è stato essenziale a determinare chi sono e come “incontro” il mondo».
 Può fare un saluto ai nostri lettori, specie ai più giovani?
«Parlo ai ragazzi e alle ragazze più giovani. Quando racconto che sono di Alba, cerco sempre di spiegare come noi albesi siamo un po’ unici, e che abbiamo poco a che fare con gli altri piemontesi: siamo vanitosi, viaggiatori, giocatori, guasconi, festaioli e goderecci, disposti al rischio e al coraggio e soprattutto curiosi del diverso, fieri di essere eccentrici. È un carattere unico, preservatelo, restate sempre differenti e inquieti».
Marcello Pasquero

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