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Latti, mestieri e territori I tre segreti dell’eccellenza e della varietà dei formaggi

Nella versione scritta dal poeta francese Jean de La Fontaine della favola del corvo e della volpe, la cornacchia – che ha capito a sue spese come sia pericolosa l’adulazione – si consola dicendo: «Questa lezione val bene un pezzo di formaggio».

Dal 16 al 19 settembre a Bra in occasione di Cheese, manifestazione internazionale a cadenza biennale organizzata da Città di Bra e Slow Food Italia, il formaggio non sarà il prezzo della lezione, ma il suo oggetto. Sì, perché Cheese non vuole essere una kermesse, una grande fiera dei prodotti caseari, ma piuttosto un’occasione di informazione ed educazione per i consumatori, ma anche per quella rete internazionale di casari e artigiani che si incontrano per presentare prodotti, discutere vecchie e nuove sfide del mestiere, confrontarsi su normative e prospettive offerte dal mercato, scambiare conoscenze e competenze.

Un prodotto, il formaggio, all’apparenza semplice, ma che si declina in una miriade di varietà, frutto di realtà e competenze secolari e assai diverse, alla base della biodiversità casearia. Questa edizione si dedica quindi ai tre pilastri su cui si regge l’eccellenza casearia: latti, mestieri, territori. L’“ospite d’onore” di questa ottava edizione è la Francia, nazione regina dei formaggi, che ha sempre tutelato le produzioni a latte crudo, valorizzato il lavoro di casari e affinatori e promosso le diversità territoriali. Saranno 184 le tipologie di formaggi (130 nel 2009), provenienti da 16 nazioni, 92 dei quali francesi; 825 le etichette in Enoteca (873 nel 2009), tra cui 79 francesi, mentre 10 dei 34 Laboratori del gusto saranno dedicati ai prodotti d’Oltralpe. «Al di là degli aspetti fieristici e commerciali, di festa e quelli relativi all’“occupazione” della città », dice Carlo Petrini, presidente di Slow Food internazionale, mi piacerebbe si capisse che Cheese offre opportunità che raramente si possono trovare altrove, tutte concentrate nel medesimo luogo e nel medesimo tempo in città, gratis e all’aperto.

A Cheese infatti chi lo vuole può imparare di più del formaggio e delle forme del latte, acquisire una nuova e più profonda sensibilità su uno dei nostri alimenti base. Toccare con mano e capire che cos’è la qualità declinata secondo i tre aggettivi “buono, pulito e giusto”: allenarsi a degustare, ma informarsi anche su quali sono i territori coinvolti nelle produzioni del formaggio, i loro problemi e caratteristiche, e quali sono le difficoltà di mestieri come il pastore e il malgaro, chi sono gli uomini e le donne che stanno dietro a certi prodotti incredibili». Le tematiche ambientali, agricole e alimentari legate ai formaggi hanno sempre animato i dibattiti dell’evento braidese. Questioni importanti con le quali il pubblico ha potuto confrontarsi attraverso le degustazioni di piccole produzioni casearie, i laboratori e le attività per bambini, il dialogo diretto con casari e pastori.

La battaglia condotta da Slow Food per “sdoganare” il latte crudo, ad esempio, fino a qualche anno fa visto da molti come un ingrediente rischioso per la salute, ha permesso di farne comprendere l’importanza come elemento fondamentale per la qualità gastronomica e impedito che le produzioni tradizionali basate su di esso scomparissero. Anche in questa edizione Cheese lancia due sfide. Resistenza casearia ed etichettatura.

Cheese dedica una piazza (piazza Valfrè di Bonzo) alla “Resistenza casearia”, ovvero a quei pastori e casari – aderenti ai Presìdi italiani del gruppo d’acquisto organizzato da Slow Food – i quali con tenacia resistono alle difficoltà del mestiere. Si tratta di giovani che hanno deciso di superare le difficoltà puntando sulla qualità assoluta e a Bra presentano microproduzioni a rischio di estinzione che il pubblico di Cheese è chiamato a sostenere.

L’altra sfida «è l’appello ai produttori, affinché vadano oltre l’etichetta, oltre a quel latte, caglio, sale corretto per legge ma che poco riconosce all’insieme di fattori che fanno di un prodotto caseario qualunque un vero formaggio. L’etichetta che ci piace è quella della qualità come racconto, in cui le razze sono fattore distintivo fondamentale e non elemento della produzione, il casaro diventa protagonista grazie alle sue scelte, il luogo di produzione ha un nesso con i pascoli e l’alimentazione e, infine, il consumatore, chiamato a conoscere e condividere il processo, diventa coproduttore», sottolinea Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia.

Diego Lanzardo

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