Duccio Demetrio, professore di filosofia dell’educazione all’Università di Milano Bicocca, promuove la scrittura come terapia, come ricerca di sé per curare il vuoto interiore. Sembra che Gabriele Abrate (insegnante), Lucia Borio (psicometrista) ed Elvio Mattalia (educatore e insegnante) abbiano seguito alla lettera le idee dell’accademico, perché dal loro libro – dedicato ai primi decenni di vita del centro di riabilitazione Giovanni Ferrero – emerge così tanto cuore, così tanta anima, da eclissare ogni scopo di lucro, ogni desiderio di gloria. Tutti insieme sotto un unico cielo. L’isituto Ferrero dall’inizio al 1988 è un titolo emblematico che distrugge le diversità. “Tutti” sono sia coloro che si impegnarono per migliorare la condizione di vita degli ospiti dell’ente – fondato da Ottavia Amerio Ferrero nel 1958 – sia gli stessi ragazzi “educati” con i quali insegnanti, specialisti ed educatori instauravano rapporti costruttivi e di crescita reciproca. Ecco il “cielo”, metafora di relazione, grigio e sterile o limpido e ricco di colore.
La storia finisce nell’88, con l’addio della direttrice Anna Maria Bruno. I tre autori, dagli anni ’60 sono stati colleghi all’Istituto. Terminata la loro esperienza alla fine degli anni Ottanta, nasce il vuoto, ferita profonda: seguono anni di silenzio in cui le esperienze, le amicizie e i dolori vissuti con i ragazzi e con i bambini sono sepolti dalla vita forse un po’ troppo frenetica. Ma tutto ritorna, e a distanza di vent’anni i sentimenti e le sensazioni riemergono spontaneamente. «Raccogliere le testimonianze di chi, insieme a noi, sognava un mondo più sensibile non è stato semplicemente un lavoro, la spinta è arrivata dal profondo», spiega con pacatezza Abrate. «Lucia, Elvio ed io compariamo poco tra le pagine, l’autostima in questo libro c’entra poco. Abbiamo preferito far parlare chi con noi ha vissuto attimi intensi; i racconti delle attività ricreative con i bambini, dei pasti, e delle notti insonni sono il fulcro del testo». Perché si sa, sono i momenti quotidiani, i piccoli dettagli a rendere vera e viva una storia.
«Non esistevano chiavi all’Istituto, ogni porta, qualsiasi porta, era sempre aperta», aggiunge il professore che, malinconico, sorride. All’interno del libro non è posta attenzione sullo scandalo finanziario che ha colpito l’istituto Ferrero nel decennio 2000, come a sottolineare la distanza tra coloro i quali vivevano in prima persona la vita in Istituto e il mondo dell’amministrazione. Con prefazione di don Valentino Vaccaneo, il libro è autoprodotto. Il ricavato sarà devoluto al progetto di teatro nelle scuole, in memoria di Dino Lavagna, educatore dell’istituto Ferrero nonché promotore della cultura tra i giovani albesi. Il libro scritto a tre mani sarà presentato martedì 27 marzo, alle 17.30, nella sala Sirio della fondazione Ferrero, in strada di mezzo.
Marco Viberti