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Il cammino di Harwa

Quando in Italia e nel mondo si parla di egittologia, non si può evitare di nominare Francesco Tiradritti. Il professore universitario di Enna e di Memphis, giornalista e curatore di mostre internazionali, dal 1995 è impegnato presso il complesso funerario di Harwa, a Luxor. I suoi scavi hanno svelato la storia del “Grande Maggiordomo della Divina Adoratrice”, il governatore dell’intero Egitto meridionale vissuto nel VII secolo a.C. Il professore dell’Università di Enna e di Memphis, giovedì 14 marzo, terrà la conferenza intitolata Il cammino di Harwa; l’appuntamento è in fondazione Ferrero, alle 21.

Tiradritti, come procedono i lavori presso gli scavi di Harwa?

«La nostra équipe è attiva a Luxor da diciotto anni; molti credono che il lavoro da noi intrapreso in Egitto riguardi esclusivamente la tomba di Harwa; in realtà il nostro operato ha portato alla luce un vasto complesso di stabili funerari; lo scavo è ancora da terminare, nonostante l’ampiezza degli spazi controllati. Abbiamo portato alla luce alcuni monumenti datati risalenti a più di duemila anni fa. I lavori procedono: cerchiamo di essere presenti sul campo due mesi su dodici, da ottobre a dicembre».

In che misura l’Italia, a livello economico, offre supporto ai ricercatori archeologici?

«Per gli archeologi che operano all’estero, i finanziamenti pubblici sono forniti dal Ministero degli affari esteri; negli ultimi anni la crisi ha “bastonato” il nostro settore: la distribuzione di fondi è calata del 60 per cento. È solo grazie ai finanziamenti privati, delle fondazioni, se i team di archeologi riescono a sopravvivere».

Come influisce la situazione politico-economica egiziana sullo sviluppo degli scavi?

«Reputo che l’Egitto debba ritrovare la propria stabilità; il Paese ha superato una rivoluzione e si trova ora in un periodo di transizione; con il Governo dei Fratelli Musulmani, le cose sembrano procedere meglio; lo schieramento al potere raccoglieva numerosi consensi anche prima di governare. Sono in disaccordo con quella parte di stampa che tende a demonizzare l’attuale Governo, definendolo oscurantista. Resta in ogni caso nel Paese una grave crisi, un crollo del turismo e un aumento della delinquenza. Ma le violenze sono confinate e non interferiscono con il nostro lavoro».

Quanto è importante scrivere un diario degli scavi?

«Teniamo un diario da tredici anni. Per la nostra squadra è fondamentale registrare ogni sviluppo: riportando i traguardi raggiunti, le persone comprendono ciò che significa svolgere il nostro mestiere. I media spesso dipingono l’archeologo come un uomo dinamico, si concentrano esclusivamente sui ritrovamenti. Occorre sapere che lo scavo è un processo lento, richiede pazienza. Per molti appassionati di egittologia, il diario on-line è diventato un appuntamento quotidiano, una condivisione necessaria».

Cosa consiglierebbe a chi intraprende la strada dell’archeologia?

«Bisogna avere una passione sana e vera, lasciarsi catturare dal fascino e dal mistero che circonda il mondo dell’archeologia; anche se oggi sono richieste maggiormente altre professioni, consiglio di seguire i propri gusti, impegnandosi seriamente».

Marco Viberti

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