L’agricoltura è rimasta il vero tallone d’Achille per gli infortuni

Immagine d'archivio
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INFORTUNI «Nell’ultimo anno e mezzo una parte importante della nostra attività è stata incentrata sugli infortuni da Covid-19, a cui dedicheremo a breve un apposito report. Sull’andamento generale degli infortuni e delle malattie professionali sul territorio dell’Asl Cn2, ci sarà da prendere in considerazione il fatto che le aziende sono rimaste ferme per mesi durante il primo lockdown, oltre alle variazioni del numero degli occupati».

Lo dice Anna Santoro, nuova direttrice del Servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro (Spresal) dell’Asl di Alba-Bra. I dati più aggiornati a livello locale riguardano il periodo compreso tra il 2014 e il 2018, pubblicati nell’ultimo Bollettino epidemiologico. «Nei cinque anni considerati, il numero di eventi infortunistici si è stabilizzato nella nostra Asl», dice ancora Santoro.

Si è infatti passati dai 2.229 infortuni denunciati nel 2014 ai 2.294 del 2018. Se si guarda ai dati del 2018, su 1.480 infortuni denunciati da uomini, sono stati 814 quelli che hanno avuto per protagoniste le donne (forse per la tipologia di attività lavorativa svolta). Se non è emerso un incremento marcato del fenomeno, un aspetto da monitorare con attenzione rimane il numero d’infortuni gravi. Con questo termine vengono indicati gli eventi di tre tipi: quelli mortali, quelli che causano inabilità permanente o anche temporanea, ma di durata superiore a quaranta giorni. Su questo fronte l’agricoltura è il settore più problematico, anche se negli ultimi anni si è registrata una diminuzione degli incidenti: tra il 2014 e il 2016 sono stati più di cento l’anno, per poi intraprendere un trend discendente, arrivando a ottanta nel 2018.

Santoro: «L’anno peggiore è stato il 2016, quando purtroppo abbiamo registrato anche alcuni decessi (per i numeri si veda l’articolo successivo, ndr). Insieme alla Regione, abbiamo avviato progetti di prevenzione, pensati per diffondere la conoscenza delle norme di sicurezza nel settore, così come nell’edilizia: il fatto che negli ultimi due anni si sia registrata una riduzione del 20 per cento degli infortuni gravi è un buon segnale, anche se continuiamo a parlare di cifre elevate».

Ma perché il comparto agricolo è così a rischio? «A svolgere l’attività sono spesso singoli lavoratori, che hanno la tendenza a operare in totale autonomia. Si tratta di un approccio molto diffuso negli anni passati ma, come dimostra la progressiva diminuzione dei decessi, nell’ultimo periodo ha giocato un ruolo importante l’introduzione di nuovi obblighi in materia di formazione sull’utilizzo dei macchinari agricoli, spesso causa d’incidenti. Un altro aspetto da considerare riguarda le caratteristiche delle nostre colline, impervie e meno agevoli rispetto alla pianura».

Francesca Pinaffo

Dal 2014 a oggi 37 morti, molti dei quali tra le colline Unesco

La maggiore consapevolezza da parte dei lavoratori in materia di sicurezza è evidente dall’andamento discendente degli infortuni mortali registrati anche nell’Asl Cn2.

Nel 2014 sono stati cinque i morti, di cui quattro in agricoltura e uno nel comparto industriale. Nel 2015, si è passati a sette decessi, di cui tre in agricoltura, due nell’artigianato e gli altri in settori diversi. Il 2016 è stato davvero l’annus horribilis per gli infortuni mortali registrati tra le colline di Langhe e Roero: su nove eventi, otto si sono verificati nei campi, la maggior parte legati al ribaltamento dei mezzi. Nel 2017, si è saliti ancora, arrivando a dieci decessi, di cui cinque in agricoltura, due in edilizia e i rimanenti tra industria e servizi.

Poi, è iniziato il trend discendente: tra il 2018 e il 2019 sono stati cinque gli eventi mortali, quattro in agricoltura e uno nel comparto industriale. Nel 2020, sono stati tre, di cui uno durante la coltivazione e un altro nel settore industriale. Nel 2021, per ora si conta un morto, durante le operazioni di manutenzione di un mezzo cingolato.

f.p.

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