Il solo piemontese al Comitato vini

L’INTERVISTA Gianluigi Biestro è stato riconfermato per la sesta volta in Comitato nazionale vini, l’organismo che sovraintende allo sviluppo dei vini italiani di qualità e origine e che ne seleziona e verifica i disciplinari di produzione e le loro periodiche modificazioni.

Il solo piemontese al Comitato vini
Gianluigi Biestro, enologo albese, esperto nominato dal ministro dell’agricoltura.

Nominato come esperto per il ministro dell’agricoltura Stefano Patuanelli, Biestro è oggi l’unico esponente piemontese nel comitato. Le alchimie politiche hanno rischiato di escludere il Piemonte dall’organismo strategico, dopo che la regione per oltre un secolo si è battuta con i suoi uomini migliori perché venissero definite regole precise a tutela e sostegno dei vini di qualità e origine.

Insieme con Biestro ho fatto un lungo tratto di cammino nel mondo del vino albese. Ho iniziato chiedendogli come avesse trovato il Comitato dopo questo periodo di pandemia. «Non potendo incontrarci di persona e discutere e confrontarci in modo attivo, il meccanismo del Comitato si è un po’ inceppato, accentuando gli aspetti burocratici rispetto alle soluzioni di sviluppo».

È cambiato qualcosa nel ruolo del Comitato nazionale vini anche alla luce del passaggio in Unione europea di alcuni dei suoi provvedimenti?

«Direi proprio di no. Il ruolo del Comitato è rimasto autorevole e propositivo come prima. È vero che alcuni provvedimenti vanno confermati dall’Unione europea, ma il Comitato nazionale continua a decidere. Anzi, proprio le cosiddette “deliberazioni unionali” vengono dapprima valutate dal nostro Comitato e difficilmente ciò che è stato positivamente giudicato a Roma viene poi bocciato a Bruxelles».

Ci sono situazioni che andrebbero prese in esame in Comitato nazionale per una loro adeguata regolamentazione?

«Partendo dal livello piemontese, resta sempre l’annosa questione della cosiddetta Igt: un gruppo di vini incasellati nell’Indicazione geografica tipica (la quale potrebbe divenire una formula sperimentale per nuove soluzioni produttive) che è bene che al momento non coinvolgano il livello delle Dop. Al riguardo, mi viene in mente tutta la questione – non solo piemontese – dei cosiddetti vitigni resistenti, che meriterebbero una loro casella regolamentare in attesa di una valutazione che li possa eventualmente coinvolgere tra i vini a Denominazione di origine. A tal proposito, potrebbe venire utile l’idea di una Igt interregionale (Piemonte, Lombardia e Liguria) anche per valutare con attenzione i vitigni resistenti, che in Italia interessano meno di trecento ettari rispetto al patrimonio viticolo nazionale che supera i 700mila ettari».

Possiamo dare uno sguardo al Piemonte e valutare eventuali interventi?

«La situazione generale esprime ottimi livelli di organizzazione e funzionalità, ma ci sono ancora alcune opportunità che si potrebbero cogliere. Mi limito a segnalarne due. Innanzitutto, ci sono denominazioni i cui potenziali viticoli e le produzioni effettive rappresentano valori molto piccoli. Varrebbe la pena valutare attentamente le varie situazioni e, d’accordo con i loro produttori, cercare le soluzioni che ne favoriscano una migliore visibilità, magari con il loro coinvolgimento nelle Doc di territorio, che possono costituire il contenitore ideale anche per denominazioni di questo tipo, piccole ma dotate di una certa storicità. C’è poi il problema del metodo di spumantizzazione in grande recipiente: in Piemonte molti lo presentano come Martinotti, mentre nel resto d’Italia viene proposto come Charmat. Il metodo Martinotti andrebbe adeguatamente regolamentato per farlo diventare uno specifico sistema di spumantizzazione in autoclave idoneo per l’Italia intera e, perché no, anche per l’Europa».

Giancarlo Montaldo

Banner Gazzetta d'Alba