La guerra alle porte e l’accoglienza dei profughi: due storie

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La lunga coda di automobili che scappano dalla guerra in Ucraina

Don Mario da Leopoli: «Albesi, pregate per noi»

Nella testimonianza in edicola domani su Gazzetta il superiore della comunità paolina di Leopoli racconta il dramma della guerra, invitando a pregare per loro. Don Mario Krawiec si è trasferito in Ucraina nel 2014 dalla Polonia insieme a una piccola presenza della società di San Paolo. Insieme ai confratelli Tomek e Adam svolge apostolato di comunicazione con un programma radiofonico, una casa editrice e due librerie: una a Leopoli e l’altra a Kiev. La situazione è drammatica: «Il conflitto è ormai giunto alle nostre porte. La città di Kharkiv è distrutta, la capitale Kiev bombardata. La nostra dipendente Bohdana, dorme da quattro giorni in libreria. Ha paura di tornare a casa, perché ci sono gli spari e le bombe. La libreria si trova nell’edificio del tempio, com’era quella della San Paolo ad Alba».

Don Mario da Leopoli: «Albesi, pregate per noi»
Don Mario Krawiec

Don Mario prosegue raccontando la propria decisione di rimanere al fianco del popolo ucraino: «Leopoli, la nostra città, per fortuna è stata ancora risparmiata dai bombardamenti. Ma chi sa, per quanto tempo ancora? Ora da noi c’è una marea di profughi che giungono dall’Ucraina orientale e centrale, dove la guerra infuria. Nell’arco di otto giorni sono scappati verso l’Europa oltre un milione di persone, la maggior parte in Polonia. Qualcuno ci domanda: perché, come polacchi, volete rimanere in Ucraina? L’Ambasciata ci ha già chiamato due volte, facendo la proposta di evacuazione con un pullman. Ma come può un pastore lasciare le sue pecore in pericolo?».

La comunità Paolina di Leopoli

Annalisa e Roberto: «Vogliamo ospitare profughi, il cuore deve superare la ragione»

«Ci sono momenti in cui si deve sospendere il giudizio e agire d’impulso, anche se la ragione direbbe altrimenti». Così Annalisa e Roberto, di 32 e 33 anni, annunciano di aver deciso di ospitare profughi ucraini nella propria abitazione. Lui operaio, lei operatrice sociale, sono i figli di una generazione cresciuta con tante promesse e aspettative, poi costretta a vivere una realtà ben diversa dal sogno. Oggi risiedono a Monticello in una casa a due piani: occupano quello superiore, il piano inferiore è libero. Per ospitare nuovi inquilini lo spazio necessiterà di essere arredato con un letto e un piccolo cucinino, per un costo ipotetico di almeno mille euro, ma la coppia si dice disposta ad affrontare la spesa. Spiegano: «Abbiamo molti impegni lavorativi ed extra-lavorativi, in progetto una gravidanza. Prendersi cura di altre persone in questo momento sarebbe oneroso, la razionalità suggerisce di utilizzare questo momento di vita per pensare a noi stessi e per coltivare i nostri progetti. Eppure ci sono momenti in cui la razionalità va ignorata. In questi momenti è il cuore che deve comandare. A prescindere dalle nostre esigenze, la guerra richiede l’intervento di ciascuno. Ognuno deve contribuire come può, sostenere la speranza nel mondo».

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immagini dalla frontiera con la Polonia

Proseguono i due: «Compileremo il modulo della Regione Piemonte – è possibile reperirlo on-line sul sito dell’ente – entro la settimana, rendendoci disponibili a un’accoglienza fino a 6 mesi fino a 4 persone – anche se portatrici di disabilità». Eppure la coppia non è sicura di poter portare a conclusione il percorso: «Purtroppo abitiamo in una casa in affitto, non abbiamo ancora capito se uno dei requisiti per accogliere persone è quello di possedere un’abitazione di proprietà. Inoltre, dobbiamo chiedere al proprietario dell’alloggio se è d’accordo con la nostra intenzione: senza il suo permesso non potremo procedere. Infine sul sito della Regione non è specificato se i profughi possono contare su un sussidio economico: saremmo in grado di ospitarli, ma non di mantenerli». Perciò al momento Annalisa e Roberto seguono il cuore: il resto lo deciderà la burocrazia e, come dicono loro, «il destino. Nella vita possiamo fare il possibile per procedere in una direzione, ma in definitiva nessuno può controllare le cose. Quello che sappiamo è che vogliamo nel nostro piccolo combattere questa guerra».

Roberto Aria

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