Carenza di medici: in Piemonte ci sono 371 operatori ogni centomila abitanti

Carenza di medici: in Piemonte ci sono 371 operatori ogni centomila abitanti

L’assessore Icardi: «Non scompariranno i dottori di famiglia»

L’INTERVISTA / 1 La difficoltà nel reperire personale sanitario per rispondere alla crescente necessità, inasprita dalla pandemia, è evidente. Si tratta di un problema diffuso in tutta Europa, dove i servizi sanitari sono stati messi in ginocchio dal Covid-19. Un fenomeno che trae origine da situazioni già compromesse in precedenza nella disponibilità di risorse,  in primis di dottori. Un dato decisivo per valutare quale sia la capacità di risposta a un contesto di tipo emergenziale. Secondo i numeri forniti da Eurostat, all’interno dell’Unione Europea nel 2019 c’erano 1,7 milioni di medici: equivale a dire 390,6 dottori ogni centomila abitanti, un numero aumentato di 18 punti rispetto al 2016, quando erano 372 ogni centomila. L’Italia si trova perfettamente in linea con la media europea. Il nostro Paese nel 2019 è passato da 395,3 medici ogni centomila cittadini nel 2016 a 405 nel corso dell’ultimo anno prepandemico. La composizione dei dottori è fatta in gran parte da specialisti, che nel 2018, secondo l’Ocse, rappresentavano il 77,95 per cento, seguiti dai medici di base (17,89%) e da altri generalisti (4,17%). Dai dati dell’Eurostat emerge anche una forte disparità tra le regioni italiane: se la Sardegna è quella più fornita, con una media di 482,15 dottori ogni centomila abitanti, seguita a stretto giro da Lazio (473,8) e Liguria (462,4), nel 2019 il Piemonte era già nella parte bassa della classifica con 370,31 medici ogni centomila piemontesi. E oggi qual è la situazione? Per fare il punto sul tema della carenza di personale sanitario abbiamo contattato Luigi Icardi, attuale assessore regionale alla sanità.

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L’assessore alla Sanità della Regione Piemonte, Luigi Genesio Icardi

Assessore Icardi, ci sono stati dei cambiamenti in questi ultimi anni?
«Oggi in Piemonte i medici ospedalieri e i medici convenzionati sono complessivamente 15.239, vale a dire 356 ogni centomila abitanti. Se contiamo anche i contratti atipici e i medici universitari, la proporzione sale a 371 medici ogni centomila».

I medici di famiglia stanno scomparendo?
«Al di là delle carenze contingenti, non solo non scompariranno, ma il loro ruolo diventerà sempre più centrale nella nuova riorganizzazione della medicina territoriale. L’importante sarà garantire gli organici, rendere appetibile la professione anche nelle aree periferiche».

Ci sono soluzioni per questo problema?
«Il nuovo contratto dei medici di medicina generale, in discussione a livello nazionale, sta disegnando uno scenario che potrebbe offrire soluzioni interessanti: il medico verrebbe retribuito non più per numero di assistiti, ma per debito orario. Si parla di 38 ore a settimana, 18 delle quali da svolgere nelle nuove case di comunità. In questo modo, anche i medici delle aree più disagiate prenderanno lo stipendio pieno. Così l’intero territorio potrà aver garantita l’assistenza sanitaria di prossimità».

Le case della salute possono rappresentare una soluzione?
«Certamente. Sono strutture in cui operano squadre multiprofessionali di medici di medicina generale, medici specialistici, infermieri di comunità, assistenti sociali e
altri professionisti della salute. Sono anelli di congiunzione fondamentali tra il territorio e gli ospedali. In Piemonte ne andremo a realizzare 91 entro il 2026, come prevede il Pnrr, insieme a 29 ospedali di comunità e 43 centrali operative territoriali, per un investimento complessivo di 214 milioni di euro. In provincia di Cuneo, ci saranno 14 nuove case di comunità, 5 ospedali di comunità e 6 centrali operative territoriali, per un investimento di quasi 56 milioni di euro».

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Il numero chiuso praticato nelle facoltà di medicina costituisce un vero ostacolo

L’INTERVISTA / 2 Quali sono le cause che hanno provocato questa situazione?
«Principalmente, la crisi degli organici medici è dovuta ai pensionamenti. In Piemonte ogni anno cessano il servizio 350 medici di medicina generale e 550 ospedalieri. Il gettito formativo dei nuovi laureati non è sufficiente: il disavanzo è di cento dottori di medicina generale all’anno e di diverse decine in alcune specialità, come medicina d’urgenza, anestesia e rianimazione».

Quanto conta l’accesso a numero chiuso?
«La chiave di lettura strategica è proprio la formazione. Al momento l’Università non riesce a fornire medici e specialisti per rimpiazzare quelli che vanno in pensione, né per soddisfare le necessità emergenti, a causa del numero chiuso per l’accesso a medicina e alle specialità. Viene chiamato “imbuto formativo”: poche risorse disponibili in rapporto alle potenzialità. È un problema che deve risolvere il Governo, ma in ogni caso non ci sono soluzioni a breve distanza: aumentare gli accessi significa iniziare ad avere benefici non prima di 3 o 4 anni. Ho ottenuto che in Piemonte fossero triplicate le borse di studio da 350 a 1.050, ma in diversi casi i posti disponibili non sono stati coperti per la carenza, a monte, di medici».

Lorenzo Germano

Con il Covid-19 centinaia di chiamate al giorno

Carenza di medici: in Piemonte ci sono 371 operatori ogni centomila abitanti 1

LA STORIA Dal 1991 nei paesi di Santo Stefano Belbo e Cossano Belbo presta servizio Antonio Fiocchi, che ci ha raccontato quanto il suo lavoro sia cambiato in questi anni e, ancora di più, nell’ultimo biennio: «Oggi i problemi sono perlopiù burocratici, non di gestione dei pazienti. Siamo sovraccaricati di piani terapeutici: sta venendo meno la parte medica, visto che ci occupiamo di qualcosa che spetterebbe forse di più alle aziende sanitarie». La pandemia ha reso tutto più complicato, anche la gestione dei malati: «Usavo Whatsapp con chi stava bene, la posta elettronica per gli accertamenti clinici e ho visitato le persone con il Covid-19 sempre al di fuori dell’attività dell’ambulatorio, facendo il possibile per evitare contagi con i metodi più artigianali».

A pesare è il ruolo del medico di famiglia: «È stupendo perché cresci con i tuoi pazienti, entri nelle case come un amico, ma è diventato un lavoro molto psicologico: durante la pandemia sono arrivato a ricevere anche un centinaio di chiamate al giorno. Chiedevano ricette e consigli: i più anziani anche aiuto perché spaventati dalle Tv». La mancanza più grossa era quella di avere una segreteria: «Devo ringraziare mia moglie che è un’infermiera professionale e mi aiuta quotidianamente». Sull’attuale crisi di personale, Antonio non ha dubbi: «Credo che, a proposito, pesi molto il numero chiuso all’università: quando ho iniziato eravamo in molti e i posti saturi, il mio l’ho raggiunto dopo quattordici anni, poi però si è creato il vuoto. Tra 7 o 8 anni, nell’area di Santo Stefano e Cossano Belbo, c’è il rischio di un buco a causa dei pensionamenti: un giovane medico si troverebbe a gestire migliaia di pazienti da solo».

l.g.

Un pianoforte per l'ospedale di Verduno 3L’ospedale di Verduno investe nella formazione

Il percorso per un medico ospedaliero è molto lungo: ai 6 anni necessari per la laurea, si aggiungono 5 anni di specializzazione. Da tempo esiste l’imbuto formativo: troppe poche borse di studio a fronte di molti neolaureati tagliati fuori. Dallo scorso anno, i sussidi statali sono aumentati da 13mila nel 2020 a oltre 17mila nel 2021. È invece notizia di questi giorni la revisione delle modalità di accesso alle facoltà di medicina: tra i punti in programma, anche un aumento pari o superiore al dieci per cento delle ammissioni. Ma è solo una questione di quantità? In realtà pare di no, perché il discorso riguarda tutto il sistema formativo. L’esempio lampante è la specializzazione in medicina d’urgenza, poco attrattiva a causa del carico di lavoro nei pronto soccorso. Erano più di mille le borse a disposizione nel 2021: oltre 450 sono rimaste vacanti. Su questo fronte la fondazione ospedale Alba-Bra segue una linea chiara: con la campagna del 5permille, oltre a ciò che viene raccolto per la causa, nel 2021 sono state finanziate nove borse di studio, che hanno portato a Verduno altrettanti giovani medici.

L’ente albese ha infatti conferito due borse per l’anestesia, una per la medicina d’urgenza, una per quella interna, una per la pediatria, una per la ginecologia, una per la farmacia ospedaliera e una per la fisica medica nell’ambito del nuovo servizio di radioterapia. Inoltre, la fondazione ospita in una struttura alberghiera tutti i giovani medici che vengano al Ferrero e che necessitino di una sistemazione, non solo chi arriva con un sussidio finanziato dallo stesso ente. Spiega il direttore della fondazione Luciano Scalise: «L’idea è quella di attrarre giovani medici che si spostano tra i vari ospedali piemontesi. È importante che si veda ciò che può offrire la nostra realtà, andando oltre allo stereotipo di ospedale di provincia. Vogliamo che il Ferrero sia inserito sempre di più nella rete formativa».

Francesca Pinaffo

Alice e Beatrice: «Al Ferrero c’è l’ambiente giusto per crescere»

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Beatrice Rossi
Carenza di medici: in Piemonte ci sono 371 operatori ogni centomila abitanti 3
Alice Cerato

LE ESPERIENZE La saluzzese Beatrice Rossi è arrivata all’ospedale Ferrero a gennaio 2021 con una borsa finanziata dalla fondazione, dopo la laurea a Torino e la scelta di proseguire in pediatria. Oggi si sposta tra l’ospedale Ferrero e il Regina Margherita di Torino. «Ciò che amo della mia specializzazione è che si tratta di un ambito in cui la clinica è importante, perché si cerca di avere un approccio il meno impattante possibile sul bambino in termini di esami, oltre al fatto che i piccoli non sono uomini in miniatura, ma una realtà a sé stante, che richiede un approccio specifico», dice la giovane dottoressa. Sulla borsa di studio finanziata dall’ente albese, prosegue: «Il fatto di sapere che qualcuno crede nella tua formazione è una bella sensazione: il percorso per diventare medico è complesso e non è sempre semplice trovare l’ambiente giusto in cui crescere professionalmente. Stare in un ospedale più piccolo rispetto ai grandi centri torinesi ha il vantaggio di essere seguiti da vicino dai medici strutturati, con la possibilità di imparare ogni giorno: a Verduno, il rapporto è quasi di uno a uno». Il tema è complesso, soprattutto per chi lo vive in prima persona: «Si parla spesso di togliere il numero chiuso alla facoltà, così da risolvere la carenza di medici, ma questo andrebbe a creare un ulteriore “imbuto”, perché a ciascun laureato deve poi poter essere garantito un percorso adeguato».

Anche l’astigiana Alice Cerato è una specializzanda arrivata, con una borsa della fondazione, in medicina interna. «Dopo la laurea a Torino, ho scelto questa specializzazione perché implica un ampio ventaglio di conoscenze. A Verduno ho trovato un ambiente stimolante, con un reparto grande, nel quale ci si può confrontare con quadri clinici molto diversi. Ho potuto rendermene conto a pieno durante questi due anni», spiega la dottoressa. La sua vita è abbastanza movimentata: «Facciamo turni intensi, a fianco dei medici strutturati: dal giro visite alla diagnostica, fino alle eventuali dimissioni, siamo in prima linea in tutte le fasi». Si tratta di una specializzazione, quella della medicina interna, molto richiesta: «Oggi le borse sono aumentate, ma nel mio anno, erano ancora ridotte e non si entrava facilmente: la competizione era elevata. Perciò, ricevere una borsa come la mia è un grande incentivo in un percorso così complicato».

 

f.p.

 

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