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Guido Chiesa ritorna nei luoghi del partigiano Johnny (INTERVISTA)

Mango inaugura il rinnovato Sentiero del partigiano Johnny
Beppe Fenoglio a Valdivilla © Centro Studi Fenoglio / Aldo Agnelli

L’INTERVISTA Il film Il partigiano Johnny di Guido Chiesa fu girato nel 2000. Il regista, nato a Torino nel 1959, ha diretto anche i documentari Un giorno di fuoco, sul concerto dei Csi in San Domenico nel 1996, e Una questione privata. Vita di Beppe Fenoglio, con interviste a parenti, amici e conoscenti dello scrittore albese. La sua opera prima, Il caso Martello, è ambientata principalmente a San Benedetto Belbo. Sabato e domenica Chiesa sarà la guida d’eccezione del percorso nei luoghi che fecero da scenografia al film.

Il partigiano Johnny, girato oggi, sarebbe diverso?

«Tutto ciò che facciamo è legato al momento e alle esperienze che stiamo vivendo. Oggi lo girerei in maniera diversa perché sono cambiato e, sotto certi punti di vista, ho un’altra visione del mondo. All’epoca avevo poca distanza critica, ero innamorato del libro e della figura di Fenoglio. Oggi ne sono meno infatuato, ma forse ne comprendo maggiormente la grandezza».

Guido Chiesa ritorna nei luoghi del partigiano Johnny (INTERVISTA)
Guido Chiesa e Neri Marcoré

Che accoglienza ricevette in città?

«Le uniche istituzioni che si spesero per aiutarci, concedendoci anche degli spazi, furono la Curia e la Famija albèisa. La popolazione fu estremamente disponibile e accogliente. I grandi assenti furono il Comune e l’Assessorato alla cultura. Forse perché erano gli anni del berlusconismo e parlare di Resistenza era inviso a una parte politica. Mi riferisco ad Alba, non certo alle Amministrazioni dei paesi della Langa, le quali collaborarono con entusiasmo. Tra le imprese, l’unica che ci diede una mano fu la Ferrero: probabilmente, in molti aleggiava il pensiero “tanto quelli del cinema sono già pieni di soldi”. La sua città natale non lo capì a fondo, in vita ricevette pochi riconoscimenti e sua sorella Marisa disse: “Avevamo un genio in casa e non ce ne accorgemmo”. Noi piemontesi tendiamo a dare valore solo a soldi e roba. Scrivere, quindi, non è visto come qualcosa di meritevole. Dall’altra parte, poi, ricevette stroncature perché non descrisse la Resistenza con la retorica in uso all’epoca. Negli anni Novanta la situazione era già migliorata, ma l’opinione pubblica restava molto divisa. Lo stesso 25 aprile non è una data che unisce, a differenza del 4 luglio negli Stati Uniti o del 14 luglio in Francia».

E oggi?

«Oggi è diverso, basta vedere quanto organizzato per il centenario. Soprattutto nei giovani noto un grande interesse per Fenoglio. Più si andrà avanti, più tale interesse aumenterà, soprattutto quando sarà completamente scomparsa la generazione che ha vissuto la Resistenza. Non è facile creare il consenso attorno a libri che hanno come sfondo luoghi ed eventi accaduti in un recente passato. Penso a Guerra e pace di Tolstoj: ciò che resta è l’opera, non la guerra napoleonica. Noi moriremo, i battibecchi politici pure e ciò che rimarrà sarà un grande scrittore».

Quale fu la genesi del film?

«Incontrai Margherita e Piero Negri Scaglione per un pranzo e pensammo a un film per la televisione, inizialmente sulla vita dello scrittore. Parlando, citammo l’interesse dei Csi per la figura di Beppe. Da lì sorse l’idea del concerto. Volevamo dare un segnale forte. L’idea era di organizzarlo in piazza del Duomo, proiettando le immagini dove c’era la casa di Beppe. Il Comune ci negò, per motivi legati all’ordine pubblico, l’autorizzazione. Grazie alla Famija albèisa, potemmo usare il San Domenico. L’ambiente della chiesa, suggestivo e raccolto, fu l’ideale. La pellicola fu una conseguenza di tutti questi fattori».

Un film su Fenoglio: cosa ne sarebbe uscito?

«Penso qualcosa di molto interessante, ma forse prematuro: toccare gangli della vita personale è delicato. Il film, comunque, è sempre un’interpretazione. Quando intervistai amici e conoscenti di Beppe, molti erano convinti che la sua vita coincidesse con quanto scritto nei romanzi. Invece no, letteratura, memoria e storia sono ben diverse. Ammetto che mi sarebbe piaciuto girare Una questione privata, ma la pellicola dei Taviani è molto recente. Altra opera perfettamente adattabile al linguaggio cinematografico è La paga del sabato».

E Pavese?

«Pur riconoscendo la sua grandezza e apprezzando moltissimo le sue poesie, fatico a sentirlo vicino. Sono affascinato dai ribelli, da chi tenta di lasciare all’umanità qualcosa di diverso, non dagli intellettuali».

Che accoglienza ricevette Il partigiano Johnny?

«Ad Alba le sale si riempirono all’inverosimile, ma anche nel resto d’Italia ottenne dei buoni incassi. La critica, invece, si divise. Ci furono numerose proiezioni per le scuole, ma penso sia sbagliato mostrare un film al posto della lezione di storia o della lettura di un romanzo. Ogni proposta è vista come un’imposizione. Inutile pretendere che gli adolescenti apprezzino Fenoglio, c’è il rischio di farglielo prendere in ghignun: lo dovranno scoprire in autonomia magari più avanti».

 Davide Barile

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