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Lavoro: in provincia di Cuneo, 31 vittime nel 2021

Lavoro: in Granda 31 vittime nel 2021

PREVENZIONE Uno spazio di confronto e dialogo, una sorta di Stati generali del lavoro, che coinvolgano parte datoriale, istituti previdenziali ed enti locali per contrastare la piaga degli infortuni e delle morti sul lavoro: l’iniziativa, lanciata nei giorni scorsi dalle sigle sindacali di Cgil, Cisl e Uil, durante un incontro alla Camera del lavoro di Cuneo, si tradurrà in azione, col primo incontro, venerdì 25 novembre.

A tracciare un primo bilancio della situazione, nella Granda, sono i tre segretari provinciali, Davide Masera, Enrico Solavagione e Armando Dagna. Spiega Masera: «Nel 2021, a Cuneo, ci sono stati 31 episodi mortali sul lavoro, a Torino 39, ma gli addetti sono quattro volte tanto. È un dato drammatico che ci fa capire come, nel Cuneese, la questione sia diventata un’emergenza. E sono in aumento anche infortuni e malattie professionali: da gennaio a giugno 2022, rispetto allo stesso periodo del 2021, le denunce sono aumentate del 41 per cento, passando da 3.317 a 4.676».

Riguardo ai decessi, «qualcuno contesta i dati dicendo che, di questi 31, nove sono deceduti recandosi o tornando dal luogo di lavoro, ma ciò non ci esime dall’affrontare l’altro grande problema, ossia la mancanza di una rete di trasporti adeguata. Comprese le linee operaie». Se la Ferrero ad Alba fornisce un servizio ai dipendenti e la Michelin ha attive due tratte, «per il resto non c’è quasi più nulla. Chi ha governato negli anni Cinquanta e Sessanta ha effettuato scelte sbagliate, si sono costruiti insediamenti industriali senza programmazione. E si è portato l’accesso viario a ogni cascina, senza pensare alla viabilità generale».

Un punto fondamentale, che coinvolge tutta Italia, è «l’attacco portato da almeno vent’anni al mondo del lavoro: nelle leggi proposte non c’è nulla di moderno e innovativo, si ritorna all’antico con, per esempio, la possibilità di licenziare anche senza giusta causa, pagando semplicemente quattro mensilità». C’è poi un problema culturale, «gli stessi datori di lavoro non conoscono le norme di sicurezza e si mettono in pericolo». Nella Granda i sindacati hanno calcolato che «il novanta per cento dei morti sul lavoro è avvenuto in aziende in cui non è presente il sindacato. Non sappiamo se sia un caso, ma dobbiamo fare qualcosa. Anche rimodulare i carichi e gli orari di lavoro: c’è capitato di sentire situazioni in cui, anziché denunciare un infortunio, era stato consigliato di mettersi in malattia. Così si pregiudica un eventuale riconoscimento di malattia professionale, danno biologico e invalidità».

Secondo Solavagione, «se il problema è culturale bisogna agire, cominciando da maggiori controlli: ma, più che reprimere, occorre fare formazione. Vogliamo quindi portare proposte fattibili e condivisibili, convincendo anche chi è su sponde diverse a impegnarsi nell’arginare il fenomeno. Proveremo anche a coinvolgere le scuole, educando al tema della prevenzione degli infortuni e pericoli già dalla giovane età».

Aggiunge Dagna: «In alcuni casi, nei quali all’assenza di sicurezza si somma la piaga del lavoro nero, abbiamo documentato vicende di lavoratori lasciati davanti al pronto soccorso da auto in corsa. Oltre alla mancanza di controlli dell’ispettorato, quando gli stessi avvengono sono comunicati in anticipo». E, conclude Dagna, «a causa di un’idea preconcetta, il lavoratore che vuole denunciare di aver contratto una malattia professionale è additato come un truffatore dell’Inail. È necessario cambiare la nostra mentalità: se fra un anno e mezzo vedremo infortuni e decessi calare, allora vorrà dire che avremo agito bene».

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Il Ministero considera infortunio sul lavoro «ogni lesione originata, in occasione lavorativa, da causa violenta che determini la morte della persona o ne menomi parzialmente o totalmente la capacità d’occupazione». A livello nazionale, le denunce arrivate all’Inail, nel 2021, sono state 564.089 con un calo dell’1,4 per cento, rispetto al 2020: nel computo, va però considerata la diminuzione dei contagi da Covid-19, passati da circa 150mila a 50mila. Sul totale delle denunce, sono stati riconosciuti 349.643 infortuni sul lavoro, di cui il 17,5 per cento avvenuti durante il tragitto tra abitazione e luogo di impiego. I decessi, 1.361, sono diminuiti del 19,2 per cento rispetto al 2020, quando furono 1.684: il discorso è analogo agli infortuni e si lega alla minore mortalità causata dal coronavirus.

L’Inail, acronimo di Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, gestisce l’assicurazione obbligatoria per ogni lavoratore, ne raccoglie le denunce, analizza le pratiche e concede gli indennizzi. Il Servizio prevenzione e sicurezza degli ambienti lavorativi (Spresal), invece, agisce soprattutto nell’ambito della prevenzione, ma anche degli accertamenti, della vigilanza e dell’informazione. Il dipartimento è presente in ogni azienda sanitaria locale: ad Alba e Bra è diretto da Giuseppe Calabretta.

«I dati dell’Inail sono diversi dai nostri, nei loro conteggi possono essere inserite anche, per esempio, morti sul lavoro per infarto, o di residenti, avvenute fuori regione. Partendo dal fatto che anche un solo morto sul lavoro è di troppo, nell’azienda sanitaria di Alba e Bra i dati fanno comunque ben sperare. Nel 2022, ci risulta una sola persona deceduta in ambito lavorativo; oltretutto, era un lavoratore in proprio», spiega Calabretta.

Nell’ambito della Settimana europea della sicurezza, giovedì 27 ottobre lo Spresal ha promosso un incontro, riservato alle organizzazioni interessate, alle imprese e ai sindacati, per presentare i piani regionali e locali volti alla prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. «Sono quattro studi legati ad agricoltura, edilizia, rischio carcinogeno e di stress correlato, oltre alla prevenzione di patologie dell’apparato muscolo scheletrico». I documenti potranno svolgere funzioni di supporto «al processo di valutazione dei rischi e di organizzazione delle attività di prevenzione e protezione. Si tratta di un percorso che durerà fino al 2025 e prevederà formazione e vigilanza costante nelle imprese», conclude Calabretta.

Davide Barile

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