Reddito di cittadinanza, cosa cambierà dal 2023?

Reddito di cittadinanza, cosa cambierà dal 2023?
Giorgia Meloni (foto di Francesco Ammendola - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

ASSISTENZA È stata una nota diffusa la scorsa settimana, dopo la manovra varata tra lunedì 21 e martedì 22 novembre, a segnare l’inizio di una nuova fase per il reddito di cittadinanza, volta a una sua progressiva abolizione da qui al 2024. Nei piani del Governo di Giorgia Meloni, un aspetto era chiaro fin dall’inizio: la forma di sostegno voluta e introdotta dal Movimento 5 stelle nel 2019 andava rivista.

Nella versione attuale, il beneficio economico viene erogato ogni mese con una carta prepagata da Poste italiane che può essere utilizzata per una serie di spese relative alla vita di ogni giorno. Il calcolo di quanto dev’essere percepito dal cittadino dipende dalla composizione del nucleo familiare e da una serie di altri fattori. Per esempio, una persona da sola potrà avere fino a un massimo di 780 euro al mese, cioè fino a 500 euro come integrazione al reddito, più 280 euro come contributo per l’affitto. Una famiglia con due adulti e due figli minorenni a carico potrà avere fino a 1.180 euro al mese. Per accedervi, sono previsti una serie di requisiti: il primo è economico, un indicatore Isee inferiore a 9.360 euro.

Il contributo è poi collegato alla ricerca di un’occupazione della persona che lo percepisce. Nelle intenzioni era fondamentale il ruolo dei centri per l’impiego, chiamati fin dall’inizio a smaltire la parte più importante della platea di beneficiari con la sottoscrizione di un patto per il lavoro con coloro che percepiscono il sussidio e sono (o risultano) disoccupati. Sono escluse le persone che non possono lavorare, come i percettori di pensione di cittadinanza, che hanno più di 65 anni, ma anche i soggetti disabili o coloro che si prendono cura di bambini con meno di tre anni.

L’altro soggetto coinvolto è l’ente socioassistenziale del territorio di residenza dei beneficiari: si occupa delle persone con una situazione complessa e per le quali è necessario un percorso di inserimento sociale più ampio rispetto al solo aspetto dell’occupazione. Con questi ultimi viene sottoscritto il patto per l’inclusione sociale.

Cosa cambierà dal prossimo anno? Il primo giro di boa riguarderà coloro che si trovano nella prima categoria, gli occupabili, che nel 2023 potranno ricevere il reddito solo per otto mesi. E, secondo gli annunci, per sei mesi dovranno partecipare a un corso di formazione e ricollocazione; se non adempiranno a quest’obbligo rischieranno di perdere il beneficio. Che dal 2024 sarà sospeso per tutti, anche per i soggetti più fragili.

Secondo la nota del Ministero dell’economia, questa decisione porterà a un risparmio di oltre 700 milioni già dal 2023: soldi che serviranno per una nuova (l’ennesima) riforma dei sostegni contro la povertà e per l’inclusione. 

«Ha difetti ma non va demonizzato»

Se si guarda ai dati aggiornati a luglio, secondo l’osservatorio dell’Inps, percepisce il reddito di cittadinanza in Italia più di un milione di soggetti, tra famiglie e singoli. La concentrazione maggiore è nelle regioni del Sud. L’importo medio erogato è di circa 552 euro. Sempre secondo l’Istituto di previdenza sociale, nel periodo compreso tra gennaio e settembre 2022, in Piemonte lo hanno richiesto 62mila e 600 persone, il 5,2 per cento delle richieste registrate a livello nazionale. Se si guarda alla Sicilia, la quota sale sopra il 17 per cento.

Dalla Granda sono arrivate in totale quattromila e 729 richieste, in calo rispetto agli anni precedenti. Se stringiamo il campo al centro per l’impiego di Alba e Bra, i dati più aggiornati a disposizione risalgono a giugno dello scorso anno, quando i percettori del beneficio erano quasi 1.500, divisi tra i due bacini in modo equo. Una platea molto variegata, aveva spiegato il centro, tra giovani occupabili e persone più avanti con gli anni.

Nel nostro Paese 14 ragazzi su cento sono molto poveri
Marco Bertoluzzo, direttore del consorzio socioassistenziale Alba, Langhe e Roero

Il consorzio socioassistenziale Alba Langhe e Roero ha in carico i soggetti e i nuclei più fragili tra i residenti nei 64 Comuni del comprensorio. Dal 2019 ad oggi, l’ente ha aperto 755 pratiche, che corrispondono a un numero più elevato di persone, visto che si può trattare anche di famiglie numerose. Solo 250 erano situazioni già note ai servizi sociali: tutte le altre, soprattutto nei casi di adulti in difficoltà, sono arrivati per la prima volta agli uffici proprio con il reddito. Alessandra Roggero, referente per il reddito di cittadinanza del consorzio, spiega: «Abbiamo proposto loro percorsi legati alla motivazione e alla riattivazione, attraverso per esempio i nostri progetti legati al lavoro agricolo, ma anche con il volontariato, con risultati soddisfacenti in parecchi casi: c’è chi è riuscito anche a guardare al proprio presente in modo diverso, impegnandosi per la ricerca di un lavoro». Un traguardo non sempre facile, soprattutto se si ha tra 50 e 60 anni, la fascia d’età in cui sono concentrati la maggior parte dei beneficiari del reddito seguiti dai servizi sociali. Alcuni sono alla terza tornata del beneficio, che in questo momento può essere percepito per 18 mesi al massimo, con un mese di stop.

Nei piani del Governo, il periodo dovrebbe scendere a otto mesi. Ne parla il direttore del consorzio Marco Bertoluzzo: «Il reddito ha dimostrato una serie di punti deboli, soprattutto per via di intoppi burocratici notevoli, ma non va demonizzato o visto unicamente come un modo per percepire un contributo senza lavorare, anche perché nella maggior parte dei casi parliamo di cifre mensili non elevate. Probabilmente una revisione è necessaria per le persone occupabili e i più giovani, per i quali servono politiche attive per il lavoro mirate. Anche il tema del contributo agli affitti dovrebbe essere più incisivo, dal momento che parliamo di una spesa importante».

«Per quanto riguarda la nostra platea, anche se in realtà ci siamo mossi molto in collaborazione con il centro per l’impiego, abbiamo preso in carico persone difficilmente occupabili, per le quali il reddito effettivamente ha rappresentato un modo per riattivarsi: parliamo di donne e uomini oltre i cinquant’anni, magari inoccupati da parecchio tempo: per loro è stato molto importante essere al centro di progetti personalizzati. Lo stesso vale anche per le donne con minori a carico, magari in condizioni complesse, che hanno avuto modo di rimettersi in gioco, un po’ com’era stato grazie alla misura precedente, il Reddito di inclusione (Rei). Se pensiamo a questa platea, bloccare del tutto il beneficio attuale potrebbe essere rischioso». 

Francesca Pinaffo

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