Tra snack, carboidrati e obesità: i bambini e il cibo dopo il Covid

Tra snack, carboidrati e obesità: i bambini e il cibo dopo il Covid 1

ALIMENTAZIONE Il rapporto con il cibo è una di quelle dimensioni che sembra aver subito profondi mutamenti durante e dopo la pandemia, soprattutto da parte dei bambini. È come se il pasto fosse diventato uno strumento di consolazione oppure di evasione, con ripercussioni sulla salute collettiva.

Sono le considerazioni emerse a fine novembre a Milano, dove è stata presentata la ricerca intitolata Nourishing school condotta nelle scuole per indagare il rapporto tra cibo e bambini, con particolare riguardo ai cambiamenti intervenuti a causa della pandemia e ai relativi costi ambientali, sociali ed economici. L’indagine è stata realizzata dall’Università di scienze gastronomiche (Unisg) di Pollenzo e promossa da Filiera futura e da fondazione Cariplo, con il contributo di numerose fondazioni di origine bancaria – in particolare la fondazione Cassa di risparmio di Cuneo.

Come spiega Michele Antonio Fino, professore dell’ateneo pollentino, «sebbene la ricerca non sia ancora terminata e non possediamo i risultati definitivi, possiamo affermare che dopo il Covid-19 il rapporto con gli alimenti da parte delle famiglie è cambiato. Si rilevano consumi più elevati e maggiore spreco a scuola. Una delle principali motivazioni è legata al fatto che durante la pandemia il cibo non veniva più servito in mensa, ma in classe. Questo ha determinato un sostanziale raffreddamento dei rapporti umani, con la perdita di un momento importante per la coesione e l’interazione sociale».

Tra snack, carboidrati e obesità: i bambini e il cibo dopo il Covid
Michele Fino, professore a Pollenzo

Prosegue Fino: «Inoltre molti alimenti dovevano essere confezionati in maniera complessa per evitare rischi legati al contagio, dunque era più facile servire cibi come lasagne o pizza piuttosto che una zuppa». Il professore prosegue rilevando che nelle abitazioni i genitori sembrano aver mostrato, durante i periodi del lockdown e in quelli successivi, una maggiore indulgenza verso le eccezioni alla norma, per esempio consentendo con maggiore frequenza serate dedicate a cibi poco salubri.

Gli intervistati hanno dichiarato di aver mangiato molti più carboidrati o dolci e meno verdure. Questo ha determinato anche lo svilupparsi di aspetti neofobici nei bambini o negli adulti con predilezioni rigide o rifiuti selettivi per certi cibi particolari.

Conclude Fino: «I genitori ammettono di aver bisogno, oggi, di un sostegno nel- l’avviare una nuova educazione alimentare in famiglia e aiutare i bambini a comprendere l’importanza di un’alimentazione sana».

Nell’area delle Langhe e del Roero il problema dell’alimentazione infantile sembrava preesistere alla pandemia. Secondo il Bollettino epidemiologico pubblicato a inizio anno dall’azienda sanitaria di Alba e Bra, nel 2019 in Piemonte il 24,1 per cento delle mamme ha consumato bevande alcoliche almeno una-due volte al mese durante la gravidanza, mentre il 3,6 per cento ha dichiarato di aver assunto alcol 3-4 volte al mese e l’1,8 per cento due o più volte a settimana. Quasi quattro mamme su dieci che alla data dell’intervista allattavano ha dichiarato di aver consumato bevande alcoliche almeno un paio di volte nel corso del mese precedente. Eppure, spiegano i ricercatori, «il consumo di alcol in gravidanza, anche in minime quantità, può pregiudicare la salute e lo sviluppo del feto», e aggiungono che «le abitudini alimentari scorrette sono riconosciute tra i principali determinanti con implicazioni dirette sulla salute individuale. L’alimentazione ha un forte impatto sul benessere dell’individuo nel corso di tutta la vita in quanto condiziona lo stato fisico corrente, ma anche la possibilità di sviluppare, nel tempo, patologie cronico degenerative come cancro, diabete, malattie cardiovascolari e obesità. Nei giovani, in particolare durante l’adolescenza, il processo di cambiamento o consolidamento di comportamenti favorevoli alla salute è fondamentale: a quell’età l’esigenza di mantenere la buona salute si accompagna a quella di favorire una crescita sana in un momento di trasformazioni fisiche e psichiche».

Secondo i dati del sistema Okkio alla salute nella nostra Asl il 24 per cento dei bambini di età compresa tra i 6 e i 10 anni presenta un eccesso ponderale (il 18,4 per cento è sovrappeso, quasi il sei per cento è obeso). In Piemonte si raggiunge il 25,5%, in Italia ci si avvicina al trenta per cento.

Solo il 56,5 per cento dei bambini consuma frutta almeno una volta al giorno, il 50,8 per cento la verdura. Caramelle e cioccolato sono consumati quotidianamente da un bambino su cinque. Per quanto riguarda i ragazzi di età superiore (dagli 11 ai 15 anni), il 15,7 per cento presenta un eccesso ponderale (13,3% sovrappeso, 2,4% obesità).

Solo il 40 per cento dei ragazzi consuma la frutta almeno una volta al giorno, il 38,8 per cento la verdura. La frequenza di coloro che consumano dolci, caramelle, cioccolato almeno una volta al giorno scende al 28,3 per cento.

Una rivoluzione educativa verso il valore del cibo per scuole e famiglie

Silvio Barbero

Secondo un’indagine pubblicata a novembre da Save the children e chiamata Atlante dell’infanzia, in Piemonte i bambini e le bambine tra i cinque e gli 11 anni nell’era Covid-19 pesano in media 2,30 chili in più dei loro coetanei del periodo prepandemico. Dicono i ricercatori: «Circa il quaranta per cento dei bambini ha modificato le proprie abitudini alimentari nei mesi della pandemia, il 27 per cento ha mangiato di più, incrementando in particolare il consumo di snack (60,3%), di succhi di frutta (14%) e bibite (10,4%). Durante i mesi di chiusura delle scuole il tempo passato davanti a uno schermo è aumentato di circa cinque ore al giorno nei bambini di età compresa tra 6 e 18 anni (complice la Dad). Tutto ciò si ripercuote sulla bilancia».

Il problema legato alla gestione del cibo nelle famiglie è diffuso anche nella nostra area: diventerà prioritario trovare soluzioni radicali per prevenire l’esplosione di malattie e problematiche organiche nel futuro. «È necessario offrire strumenti formativi adeguati e rivolti agli insegnanti, alle famiglie e ai bambini, al fine di innescare una vera e propria rivoluzione educativa in ambito alimentare», ha detto a dicembre Silvio Barbero, vicepresidente dell’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo. E ha aggiunto: «L’obiettivo politico è di introdurre l’educazione alimentare e sensoriale nel sistema scolastico italiano, già dalla prima infanzia». Una delle percorribili strategie d’azione è la valorizzazione e la protezione dei prodotti sani, locali e dalla facile tracciabilità. Nel contesto attuale caratterizzato dalla crisi dei prezzi, dai cambiamenti climatici e della predominanza dei grandi colossi il rischio è di affossare le piccole realtà agricole a favore di logiche meno attente alla qualità.

Nel tentativo di avviare un percorso conoscitivo dello status quo, a inizio dicembre l’assessore all’agricoltura della Regione, Marco Protopapa, ha incontrato i rappresentanti della grande distribuzione, dopo il quale ha detto: «L’andamento del mercato sta determinando una crisi seria nelle nostre aziende agricole, a rischio chiusura, e come Regione abbiamo chiesto un incontro con la grande distribuzione che si è mostrata disponibile al dialogo. Il primo obiettivo è sviluppare azioni di promozione e informazione rivolte al consumatore sulla scelta degli alimenti e delle produzioni agricole del nostro territorio, riconoscendone il giusto valore».

All’inizio del 2023 è previsto un ulteriore incontro per valutare le possibili proposte da mettere in pratica. Al momento non ci sono proposte concrete, ma la sensazione di tutti è che il sistema dovrà essere rivisto nella prospettiva di un futuro alimentare più equo, conoscibile e accessibile in modo trasversale alle differenti fasce della popolazione. 

«Eravamo preoccupati al punto da non badare più di tanto a ciò che mettevamo sulla tavola»

LA STORIA «Dopo il Covid-19 qualcosa è cambiato. Mio figlio Mirko ha 5 anni e ha iniziato a mangiare in modo differente: adesso vuole cioccolato e zucchero quando prima poteva benissimo farne a meno. Gli piacciono le pizze, il cibo del fast-food e le fritture. Prima dell’arrivo  del virus e del lockdown non faceva preferenze, si affidava a noi e mangiava tutto. Cos’è capitato non saprei dirlo». Alessia è una mamma di 36 anni che vive ad Alba con il figlio e il marito.  È operaia in una fabbrica, lavora su tre turni a rotazione: mattino, pomeriggio e notte. Ha poco il tempo da dedicare a sé stessa, molte le incombenze per la cura della famiglia.

Il Covid-19, spiega, non le ha cambiato la vita in peggio: l’unico aspetto della quotidianità a risultare alterato negli ultimi due anni è quello alimentare. «È come se io, mio marito e mio figlio fossimo entrati in una condizione di stress cronico e il cibo fosse diventato all’improvviso qualcosa di marginale, di poco importante. Talmente eravamo preoccupati per ciò che succedeva fuori casa, talmente temevamo per la nostra incolumità e ci sentivamo oppressi da tutto ciò che stava accadendo, che abbiamo iniziato a consumare i pranzi e le cene senza badare alla salute.

L’importante era stare insieme, rimanere allegri. Non cedere all’ansia e alla tristezza del momento. Nel tempo abbiamo dimenticato abitudini che prima rappresentavano il centro della nostra vita come il mangiare frutta e verdura in abbondanza, equilibrare i nutrienti, non concedere troppo spazio al cibo-spazzatura». Oppure a quello che è chiamato comfort food, il cibo spesso ipercalorico il cui consumo può compensare, a livello psicologico, lo stress.

Matteo Viberti

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