Abitare il piemontese: la parola di questa settimana è balengo

Sciocco, imbecille, scimunito, psico-fisicamente inaffidabile.

Bozza automatica 305

ABITARE IL PIEMONTESE La vecchia esita. Poi s’alza, si volge alle donne con un sorriso ed un sospiro accennando al pendolo e a me: Ah! Che balengo!. Questa citazione di Guido Gozzano in Torino del passato (1915) pare la prima attestazione letteraria della parola di questa settimana. Parlando di grandi scrittori piemontesi si trovano riferimenti anche in Cesare Pavese (Arcadia), Primo Levi (La chiave a stella) e Umberto Eco (Baudolino).

Diffusa oralmente già dall’Ottocento, è una schietta espressione subalpina entrata nell’italiano comune grazie ai media: è tuttora una delle parole preferite da Luciana Littizzetto nelle sue esibizioni radiotelevisive. La voce è di probabile riferimento presso ambiti furbeschi e l’etimologia è molto discussa: sebbene suggerisca una corrispondenza metaforica con l’italiano sbilenco, c’è chi non esclude un collegamento con il verbo ballare per questione d’instabilità, equilibrio precario. Non si esclude una possibile motivazione secondaria di bala, con l’aggiunta di engo, suffisso d’origine germanica particolarmente diffuso in diverse aree italiane.

Vista l’imminenza del Carnevale e collegandoci alla radice bala, è necessario un riferimento mangereccio. Le famose bale ëd Cia sono i ritagli delle bugie avanzati e appallottolati tra loro; Santa Lucia, portatrice di luce, è infatti raffigurata con i propri occhi su un vassoio. Non meno celebri sono le bale ëd Menelik, palline di cioccolato nero in riferimento alla pigmentazione dell’imperatore d’Etiopia, castrato.

Delle nostre avventure coloniali, africane e imperiali, tutto è andato perduto. Di quel naufragio sopravvivono ancora alcuni relitti linguistici come la frase che indica una donna vanitosa: a së scherd d’esse ȓa principëssa Taitu (crede di essere la principessa Taitu). Era la moglie dell’imperatore Menelik e divenne celebre in Italia attorno al 1890 perché si pensava che fosse lei ad aizzare il consorte contro gli italiani. La sua effigie riprodotta sui giornali dell’epoca dovette evidentemente diventare famosa da queste parti. Quel viso serio e austero apparve ai nostri avi come simbolo vivente di alterigia e regalità: a lei si potevano quindi concedere anche alcuni atteggiamenti sussiegosi, ma non passasse per la testa alle nostre donne di paragonarsi a lei!

Paolo Tibaldi

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